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Vi spiego perché sul Mes hanno ragione sia Conte sia Salvini (di L. Telese)

Il premier ha ragione leader della Lega ha avuto un doppio atteggiamento. Ma la riforma del Fondo salva-Stati non è affatto vantaggiosa per l'Italia. Il commento di Luca Telese

mes conte salvini
Illustrazione di Emanuele Fucecchi
Mes: hanno ragione sia Conte sia Salvini

Tra “l’avvocato” ed “il capitano” è ormai guerra senza quartiere, ed è anche scattata la querela: terreno più congeniale per l’avvocato, si potrebbe pensare, ma ovviamente la causa (come tutte quelle tra politici) non andrà a buon fine, e si perderà nelle nebbie, dopo averci regalato l’ebbrezza di qualche sapido titolo di giornata.

Riguardo a questo bisticcio sul Fondo salva-Stati – invece – poco da dire: i professori no euro della Lega erano sul piede di guerra da mesi contro la proposta, ma Salvini – inspiegabilmente – fino alla settimana scorsa non aveva mai dedicato la sua incessante attività mediatica al tema.

Dunque Conte ha ragione quando gli rimprovera di avere una doppio atteggiamento sul tema, a seconda del ruolo ricoperto: uno quando era al governo da vicepremier e un altro da quando è leader dell’opposizione. Nel merito dell’accordo che si prospetta, però, mi pare che Conte sbagli. Il punto, infatti, non è più quello della coerenza con ciò che si diceva, ma il merito della delicatissima questione di cui si discute.

Ci sono almeno due problemi da dirimere, infatti, in questa querelle. Il primo: la riforma del Mes è una trattativa in fase avanzata che non è stata ancora chiusa. Il secondo: così com’è, il testo non è vantaggioso per il nostro paese. Qualcuno ha detto che rinunciare a questo trattato è come rinunciare all’ambulanza.

Il problema è che in realtà – se stiamo nella metafora – è come chiederci di pagare per un‘assicurazione sanitaria privata, e sottoscrivere una polizza in cui però puoi essere buttato fuori dall’ospedale. È come stipulare una polizza, ma poi accettare delle franchigie che sicuramente non riuscirai a superare. In linea di principio non è difficile capire che se sei un paese debitore non puoi firmare accordi che sono fatti apposta per penalizzare i debitori.

Non si tratta di sovranismo, dunque, ma di normale tutela dell’interesse nazionale: fra chi è stato seduto al tavolo della trattativa, fino ad ora (da Tria a Gualtieri) sembra che sia scattato un antico e autolesionistico riflesso condizionato, che può essere tradotto in questa massima: “Se ce lo chiede l’Europa sarà sicuramente cosa buona”. O anche: si, è vero, sulla carta le nuove regole ci svantaggiano, ma vedrete che non scatteranno mai. Purtroppo non è così.

Persino Marco Buti, moderatissimo capo staff di Paolo Gentiloni (“l’unico uomo ad aver partecipato a tutte le riunioni del G20 finanze”) ammette in una intervista al Corriere della Sera: “Da Berlino si chiede che prima i paesi indebitati risanino”. È aggiunge – fate attenzione – “ipotesi automatiche di riduzione del debito condurrebbero ad un tale Armageddon finanziario da aumentare il rischio che debba intervenire il Mes”. Se a dirlo è uno dei mandarini delle nostre istituzioni bisognerà prenderlo sul serio e preoccuparsi.

Un bel paradosso. Anche perché davvero pensiamo che l’Italia – nella condizione attuale in cui si trova – sia in grado di abbattere il debito in assenza di crescita? Io credo che anche questa manovra in cui 23 miliardi di euro sono bruciati per disinnescare clausole di salvaguardia ci dimostri che non siamo in grado. Se in questo momento avessimo cassa, infatti, dovremmo spendere almeno 3 miliardi in più per la scuola, e forse 5 o 10 in più per un piano straordinario che metta in sicurezza le infrastrutture, e forse 2 o 3 per la riconversione ambientale di cui il dibattito sulla Plastic tax ha evidenziato il costo e l’urgenza.

Davvero possiamo pensare che nei prossimi anni – senza tornare a crescere e senza fare nuovo deficit – potremmo abbattere il nostro debito? Io non credo. E lanciare l’allarme sul Mes e sulle sue conseguenze, non sono i professori no Euro, ma organizzazioni pacate come l’Abi, e il suo leader, il compassatissimo ex liberale Patuelli (“Se si firma viene giù tutto”). Dunque, nel dibattito pirotecnico tra l’’Avvocato ed il Capitano bisogna cercare una risposta insolitamente salomonica, o distonica: che hanno ragione entrambi. Oppure che hanno torto tutti e due.

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