Diplomandi della generazione Covid: diventeranno grandi senza aver mai provato lo spavento supremo
La prima volta non si scorda mai. Come l’ultima. Il senso della vita oscilla pigramente in questa palindromia acuta per cui la memorabilità fa capolino ogni volta che qualcosa inizia e finisce. Prendiamo The Last Dance, la docuserie che racconta la carriera di Michael Jordan e la storia dei Chicago Bulls degli anni ’90. Ha messo più di 24 milioni di spettatori di fronte al fatto che in ogni storia è il finale che conta, che il sesto titolo consecutivo può essere il più bello, che l’ultimo ballo è quello che porterai nel cuore per sempre.
Che The Last Dance arrivi proprio nel 2020, col mondo sospeso a mezz’aria per una pandemia globale, fa riflettere su un’altra squadra formidabile, quella di una generazione intera di ragazzi che giocherà la sua ultima partita da casa, di fronte ad uno schermo, in cameretta, con l’azzurro stiratissimo di giugno alla finestra, accanto a un letto sfatto. Sono i diplomandi della generazione Covid. Niente scuola, niente banchi, niente ultimo ballo. Sì perché c’è un dream team in ogni classe. Una combinazione formidabile e irripetibile di storie, talenti, abissi ed eccessi.
C’è Scottie Pippen, secondo banco a sinistra, maglioni larghi e tratti somatici liberamente ispirati alla Fiat Tempra. Si applica, ma non è intelligente. Traccia il solco della sufficienza e prosegue a testa bassa fino alla fine dell’anno, raccoglie anche qualche buon voto ma resta invisibile per professori e compagni. Colosso di costanza, sinfonia di silenzio e opacità. Procede a velocità di crociera mentre gli altri a ricreazione gli sfrecciano accanto sulla corsia del petting.
C’è Dennis Roddman, il battello ebbro dell’ultimo banco. Occhi luciferini, fascino e disperazione, una linea della vita scarabocchiata sul muro, zero applicazione, parecchio intuito. Chiede al professore di uscire per andare in bagno e dieci minuti dopo si imbarca con Carmen Elettra della quinta D su un cargo battente bandiera liberiana.
C’è Steve Kerr, il freddo. Lineamenti gentili e scaltrezza ben distribuita. Ottimo suggeritore, sempre pronto a infilarti in tasca la soluzione del problema. Se interrogato, risponde. Se c’è del fumo da nascondere sa come nasconderlo. Si porta avanti coi compiti perché deve dedicarsi ad altro. Non si è mai capito a cosa. Qualcuno dice ad assemblare computer, ma le voci più attendibili sostengono che stia assemblando un amore grande e sofisticatissimo: Elena Sofia, un fiore del ginnasio in procinto di schiudersi. Occhi verdi, capelli neri e componentistica di quarta generazione – coppa C.
Lunedì, mercoledì e venerdì ci sono gli allenamenti della squadra di pallavolo. All’uscita lui è là che l’aspetta seduto sul motorino. Elena Sofia gli corre incontro, si abbracciano. Lui la fa accomodare sul sellino e le sfila delicatamente le ginocchiere, si sofferma sulle ginocchia come di fronte a due piccole edicole votive, soffia piano sulle rotule, le bacia e ne aspira forte l’odore. È l’odore del futuro per come se lo immagina: abrasioni e passione.
C’è Micheal Jordan, il visionario, nato con un solo obiettivo. Il suo. Infallibile alla lavagna, spietato con chi gli chiede di copiare, non gli basta primeggiare, deve spingere gli altri verso il basso. Centro nevralgico e indiscusso delle assemblee d’istituto, riesce a fare cose che nessun altro sa fare, riesce a trovare sneakers che nessun altro riesce trovare. I suoi innumerevoli talenti sono figli della sua più grande dote, quella di vivere incastonato nel presente, senza disperdere mai il suo ingegno in congetture orientate al passato o al futuro, con tutte le ansie che ne derivano. Lui non pensa se può farcela o meno, lui lo fa. Questo lo rende unico, dunque lo rende solo.
Che ne sarà di questa incredibile formazione, del loro ultimo miglio di corridoio prima di entrare in aula e sedersi di fronte alla commissione esterna? Dei capannelli davanti ai cancelli della scuola? Diventeranno grandi senza aver mai provato lo spavento supremo, e non si sveglieranno nel cuore della notte, anche ad anni di distanza dalla maturità, madidi di sudore, colti dal terrore di essere impreparati. Tutto andrà perduto, come lacrime di Gerry Scotti in una puntata di Tu sì que vales.
Probabilmente questa Maturità in ciabatte e pantaloncini ci restituirà una generazione più forte, perché inconsapevole, più impavida, perché mai messa di fronte alla paura. Più volatile, perché non sapranno mai quanto pesa la penna Bic stretta tra le dita quando mancano sette minuti alla consegna; non sapranno mai quanto incida la maturità sulla gravità delle cose, e che a prova finita, quando ti ritrovi solo nel cortile della scuola, il Castiglioni – Mariotti che hai sotto il braccio pesa pochi grammi, non di più. Le gambe non saranno mai più così leggere come quel giorno.
La puntina salta sul vinile, “Notte prima degli esami” non suona come dovrebbe quest’anno, Antonello Venditti sta cercando gli occhiali nel solito cassetto, ma non li trova. Il continuum tempo – spazio è compromesso, un capolavoro della musica italiana, pure.
Io mi ricordo, quattro ragazzi con la mascherina
E guanti in lattice nella tasca
Le comitive sui navigli, Sala non le ferma
La movida è ancora nostra
Ma come fanno le cassiere coi dispositivi di sicurezza a farsi 8 ore filate nei supermercatiiiiiii?