La terza vita di Matteo Renzi ci dice che giornali e potere sono oggi sempre più la stessa cosa
La “very first reaction: sheik!” avverrà quando il direttore Renzi scoprirà che non potrà querelarsi da solo, dopo che ha fatto causa ai giornali di mezza Italia (compreso il nostro)
“Sono molto più prudente nella comunicazione perché la maggioranza di centrodestra è molto solida. Questi il potete non lo mollano. Penso sia una legislatura su cui lavorare in tempi lunghi: non sui 100 metri ma come in una maratona. Ho bisogno di ritrovare una nuova narrazione: una sosta ai box non può che farmi bene”.
Non erano passate nemmeno 72 ore da quando Matteo Renzi ha pronunciato queste parole che era in diretta ad annunciare la sua discesa in campo in un altro settore: dopo la politica (ex sindaco e premier) e il lobbismo (Riad e il rinascimento arabo), il leader di Italia Viva ha deciso di entrare a gamba tesa nel mondo del giornalismo, auto-nominandosi direttore de Il Riformista, quotidiano che esce in edicola una sola volta la settimana e tutti i giorni in digitale.
Fossimo un Paese sano, dove democrazia e informazione rimpinguano i principi l’una dell’altra, questo triste primato nel campo dell’editoria sarebbe archiviato come un pesce d’aprile giunto in ritardo di qualche giorno.
Ma, visto che di normale c’è molto poco nel giornalismo italiano, tutto passa come una roba normale, digeribile tanto ai lettori quanto ai cittadini che magari non leggono ma che hanno votato uno come Renzi da sindaco, da segretario, da premier.
Un ex presidente del Consiglio – appunto – che assume la carica più alta, fosse anche solo nominale, di un quotidiano italiano (e uno fra i più influenti o letti in parlamento secondo Youtrend).
La conferma che giornali e potere sono oggi sempre più la stessa cosa, che vanno a braccetto come quattro ruote motrici che marciano assieme nella stessa direzione e non, come invece dovrebbe, i primi a controllo del secondo.
Tradizionalmente, gli ex premier in disuso ottengono ruoli onorari e nominali, a capo di fondazioni, think tank, istituti; al limite, nei casi più borderline già di per sé traballanti, rivestono ruoli di vertice nei quotidiani organi di partito.
In questo caso c’è un ex uomo di potere ed ex premier – che oggi tiene conferenze anche a pagamento in giro per il mondo – che è a capo di un giornale di proprietà di un privato, Alfredo Romeo (sì, proprio lui: quello del processo Consip in cui è stato coinvolto anche babbo Tiziano).
L’ennesimo “coup de théâtre” di chi fino a qualche mese fa pensava davvero di avere “chance” di correre come segretario generale della Nato e ora invece si trova alle dipendenze di Romeo.
Una contraddizione palese e di principio senza precedenti. Un quotidiano che, per definizione, tutto potrà fare fuorché raccontare gli affari e il potere intorno alla politica.
È un fatto recente l’affermarsi di questa escalation indecente dove potere e informazione incestuosamente si uniscono quasi fossero la stessa cosa.
Nemmeno Silvio Berlusconi era arrivato a tanto. Il capo di Forza Italia, almeno, i giornali aveva la decenza di possederli. E di indirizzarli.
Nel caso di Renzi invece siamo di fronte a uno che – in larga parte annoiato – vuole solo divertirsi, per di più a spese degli altri, sfidando regole e principi per il puro senso di sorprendere, di provocare, di essere al centro della scena. Lui che voleva ritirarsi e prendersi una pausa ai box.
La “very first reaction: sheik!” avverrà quando il direttore Renzi scoprirà che non potrà querelarsi da solo, dopo che ha fatto causa ai giornali di mezza Italia – compreso il nostro, con il quale è in corso un processo civile – usando il tribunale “come una sorta di bancomat dal quale attingere somme per il proprio sostentamento, anche quando lo si coinvolge senza alcun fondamento”.