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Chapeau, Mario Draghi: hai spiegato ai tedeschi che col loro ottuso rigorismo, in questa battaglia si muore

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Mario Draghi

Dice Mario Draghi, ed è uno squillo di tromba: “Non è sufficiente rinviare il pagamento delle tasse: bisogna immettere subito liquidità nel sistema,e le banche devono fare la loro parte, prestando denaro a costo zero alle imprese per aiutarle a salvare i posti di lavoro. I costi dell’esitazione sarebbero irreversibili”. Dice Mario Draghi che serve un finanziamento straordinario per fronteggiare la crisi straordinaria indotta dal Coronavirus. E siccome lo dice – non casualmente – mentre nelle casematte delle cancellerie europee infuria la guerra dei rigoristi contro i paesi mediterranei (cioè noi), la sua esternazione sul Financial Times non è un intervento astratto, ma equivale ad uno squillo di carica alla “Arrivano i nostri”, che attraversa il fronte nel pieno di una battaglia disperata.

Dice Mario Draghi che gli Stati devono investire nell’economia e garantire i debiti, e questo intervento equivale ad una scelta di campo. A molti italiani non è ancora chiaro il peso di questo pronunciamento, perché non è ancora altrettanto evidente il terribile rischio che stiamo correndo. Mentre tutto il mondo investe miliardi per essere pronto a rilanciare l’economia, gli stessi eurofalchi che combatterono la folle battaglia infame contro la Grecia, in queste ore ne stanno combattendo una nuova – folle ed anacronistica – contro il fronte guidato da Francia, Italia e Spagna. Pensano che l’Italia, e gli altri alleati, vogliamo approfittare della crisi sanitaria per mangiare ad ufo: sono stati meno colpito dal virus, e sono convinti che gli effetti della crisi sanitaria da noi siamo così disastrosi perché siamo paesi del terzo mondo.

Si crogiolano nel loro bassissimo tasso di mortalità (0.3%), lo paragonano con il 12% della Lombardia, e fanno finta di non vedere che questi numeri drammatici sono proprio l’effetto dei tagli che le politiche di rigore hanno indotto nel nostro paese, a partire dalla sanità. Scambiano le cause con gli effetti. Quella che si è raccolta intorno ai tedeschi è una cordata di paesi ascari, grandi come una moneta, in cui spiccano – nel ruolo del “poliziotto cattivo” – i miserabili olandesi, guidati da un premier ambizioso quanto stolto, Mark Rutte, un ex pianista fallito, sbarcato in politica dopo una carriera da manager di una multinazionale delle maionesi, che adesso si sente grande perché con i suoi veti ha l’illusione di riuscire a bloccare tutta L’Europa.

Per spiegare quanto questo strategia sia suicida, basterebbe aggiungere che Belgio e Lussemburgo questa volta si sono separati dalla tradizionale alleanza che li lega all’Olanda, schierandosi con l’asse Franco-italo-ispanico. Una cosa mai accaduta prima, ma un gesto logico, sia pure per motivi opposti: il Belgio, quasi indenne per ora, è molto indebitato, il ricchissimo Lussemburgo è devastato dal virus, e ha più contagi pro capite di noi. Ma il punto è che dietro il povero Rutte c’è il vero nemico delle politiche di euro-sostegno antivirus: la Germania. E al suo fianco, oltre all’ex manager delle maionesi, ci sono i suoi paesi satellite di sempre: i paesi baltici, gli austriaci, i finlandesi e gli svedesi.

La Merkel si nasconde dietro le sue marionette, per proporsi – agli occhi dei suoi oppositori interni – come la grande mediatrice tra estremi, la castigatrice dei peccatori del deficit (sempre noi). Un gioco antico e logoro, un balletto spensierato e suicida, nel pieno dell’emergenza, con l’Inghilterra che ribalta la sua strategia originaria (immunità di gregge) per copiarci, e la Spagna che collassa con i malati gettati per terra nei corridoi. È questo uno scenario surreale, mentre i paesi anglosassoni utilizzano l’helicopter money, e i rigoristi del secolo scorso difendono le loro antiche trincee con sfavillante ottusità, che si inserisce la mossa di Draghi. È in questo clima di ortodossia che va letto il suo grido, la sua invocazione alla spesa e all’intervento pubblico. L’editoriale dell’ex governatore, a Berlino, viene letto come una bestemmia in Chiesa.

Il problema è che l’apostata non è lui, ma il gruppo dei paesi satellite filomerkeliani, che vorrebbe usare il virus come un pretesto per imporre finalmente una “condizionalità” ai paesi che richiedono aiuto (a partire da noi, i puzzoni debitori italiani). Il problema non è Draghi, dunque, ma l’ultima miserabile battaglia degli eurocrati rigoristi filo-tedeschi: il punto è che qualsiasi sia il verdetto del braccio di ferro finale che si celebra oggi in Europa fra questo due schieramenti, Berlino sarà spazzata via, come già nelle due ultime guerre mondiali. Destinata a soccombere, insieme all’ex manager delle maionesi con il sorriso di cartapesta e all’alleanza di legoland che hanno messo insieme: perché ciò che Draghi sta provando a spiegare ai tedeschi, con il suo editoriale, è che in questa battaglia, se non si serrano i ranghi, si può morire. Non una ma due volte: di economia, o di virus.

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1. Il virus riscrive l’autobiografia della nazione (di Marco Revelli) / 2. Coronavirus, tamponi per asintomatici? Solo ai privilegiati. Così prolifera il business dei test privati

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