Da “Io sono Giorgia” a “Io sono Mario bis”, il passo è stato breve grazie a Giorgetti (di G. Gambino)
Sono ormai un lontano ricordo le “battaglie” in Parlamento di Giorgia Meloni contro le proposte del Governo Draghi, le invettive contro il PNRR e l’Unione Europea.
Da “Io sono Giorgia” a “Io sono Mario bis”, il passo è stato breve. Anzi brevissimo. Fin dal giorno successivo alle elezioni, ha mantenuto un profilo moderato. Mettendo subito in chiaro di voler costruire un governo di alto profilo con Ministri tecnici, sulla falsariga di quello precedente e di voler mantenere saldo il legame con l’Unione Europea e gli Stati Uniti.
Ma non solo: c’è un filo sottile che lega la Premier al precedente Governo. Si chiama Giancarlo Giorgetti, attuale Ministro dell’Economia, il leghista “governista”, vicesegretario della Lega che ha attraversato tutte le stagioni del Carroccio e che non sempre (eufemismo) è stato in piena sintonia con il segretario Matteo Salvini. Per lui il passaggio dal Mise al Mef è stata come la qualificazione in Champions League del suo Southampton. Tanto che lui stesso si sentiva (sente?) “unfit” per l’incarico, non avendo il necessario “standing”.
Questa settimana raccontiamo le due facce del Ministro dell’economia. Il Giano bifronte della politica italiana, il double face di Cazzago. Dalla vicinanza all’estrema destra alla dirigenza della Lega. Da nordista duro e puro ad habitué dei salotti romani. Da nemico dell’euro a capo ultrà di Draghi (voleva Mario contemporaneamente al Quirinale e a Palazzo Chigi). Ma il caso del neo-inquilino di via XX settembre è anche il simbolo della continuità tra il governo dei Migliori e quello dei Meloni. È la coda del Drago.
Giorgetti, infatti, rappresenta il trait d’union tra le istanze superatlantiste e ultraliberiste del governo del banchiere centrale e quelle che dovrebbero essere (in teoria) in netta discontinuità dell’underdog de’ noantri. E invece dalle alleanze internazionali alle politiche economiche, passando per una certa “attenzione” ai mondi finanziari, stiamo assistendo a una continuità quasi totale.
La crisi dei partiti, un’informazione sempre più appannaggio dei grandi gruppi industriali e l’appiattimento del dibattito pubblico sono le leve su cui agisce la “coda del Drago”. È esemplificativo come nel primo vero provvedimento economico approvato dal nuovo governo, i Meloni si siano limitati a prorogare fino alla fine dell’anno le misure di sostegno a famiglie e imprese già varate dai Migliori. Unici elementi “nuovi”: la revisione del Superbonus edilizio (già auspicata da Draghi) e l’innalzamento del tetto al contante (che sicuramente non dispiace ai liberal). Nulla si vede, per ora, delle tante promesse elettorali: sulle pensioni niente abolizione della Fornero, sul fisco non ci sarà la flat tax per tutti i dipendenti, il reddito di cittadinanza (per fortuna) non sarà abolito. E chissà quali saranno ora le prossime mosse del leghista al MEF: e cioè se proseguirà nelle sue scelte con la stessa accortezza mostrata da Franco o se scivolerà verso le varie bandierine di partito.
Anche per i Meloni l’importante è non tradire i Migliori. Whatever it takes.