Non chiamatelo maltempo: la natura ci dice che questo modello sociale ed economico non è più sostenibile (di G. Gambino)
Guardate queste immagini e tenetele impresse nella vostra memoria. Italia, 2023. Catastrofe climatica.
Non “semplice” maltempo, “clima impazzito”, “fiumi killer”, ma il risultato degli effetti sempre più letali messi in atto dal riscaldamento globale. Ormai non più fenomeno straordinario ma vero e proprio appuntamento ordinario. Con la storia, innanzitutto. A cui la comunità internazionale e la società dovrebbero rispondere pretendendo, dai propri governi, un piano per affrontare le conseguenze che si rivelano ogni giorno sotto i nostri occhi in modo devastante; un programma strutturale che riconosca e definisca in primo luogo il cambiamento climatico non più come emergenza temporanea cui porre rimedio sul momento, appunto, ma come un fenomeno che appartiene alla nostra era. E per il quale è oggi necessario dotarsi di tutti gli strumenti possibili al fine di invertire la rotta catastrofica che il pianeta ha intrapreso.
Mentre l’Italia frana, infatti, c’è ancora chi blatera negando l’esistenza stessa del riscaldamento globale, quasi fosse un argomento su cui è possibile avere una propria opinione, andando contro i principi della scienza, per definizione oggettivi e apolitici. Eppure la natura urla ogni giorno di più che questo nostro modello sociale ed economico non è sostenibile, e si ribella per prendere nuovamente possesso dello spazio che gli uomini le hanno negato.
Ogni forma e modello mutano nel tempo: è successo con la gig economy, deriva estrema della globalizzazione, in nome della quale abbiamo barattato diritti e tempo libero con la velocità e il basso costo, ma non accade con l’ambiente.
Anche la politica, quale che sia il suo schieramento, è stata sinora incapace di comprendere a fondo cosa c’è in ballo in questa partita. Non dovrebbe sorprendere, difatti, se nell’ultimo quarto di secolo tutti i governi che si sono succeduti nel nostro paese hanno investito appena 7 miliardi di euro per mettere al riparo l’Italia dalle alluvioni, quando ne sarebbero serviti almeno tre volte tanti.
Questo nostro numero vuole essere una secchiata di acqua gelida a chi in questi anni non ha agito, ai negazionisti del clima, a chi antepone ignoranza, superficialità, saccenza ai fatti.
L’unico modo per uscirne è rimboccarci le maniche, proprio come stanno facendo in queste ore i volontari che hanno messo in moto la macchina per salvare l’Emilia Romagna.
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