Madonna, pensi di essere libera. Invece sei solo una schiava (di M. Giorgi)
1983. Io, un pischelletto delle elementari. Bellaria, patria delle spiagge mangiate dal mare e dalla mucillaggine e buen retiro della terza età, era la terra delle mie vacanze estive. Ogni anno, la prima sera si consumava un rito: mia nonna mi portava in centro a comprarmi un regalo. Quelli sera chiesi qualcosa di inusuale: la musicassetta di una giovane di cui si sentiva appena parlare in Italia, una certa Madonna. Il disco si chiamava Like a Virgin. Mia nonna fu piuttosto divertita da questa scelta e non si preoccupava minimamente di come io ancheggiassi sulla spiaggia come una Beyonce ante litteram ascoltando Material Girl con il mio walkman. Perché diciamocelo: ogni gay di mezza età di questo paese (o forse del mondo) ha incrociato nel suo percorso un’epoca, un cambiamento della carriera di madame Luisa Veronica Ciccone. Il periodo dei crocifissi, quello delle foto nuda e del libro scandalo “sex”, quello dei matrimoni finiti male, di lei pasionaria nei panni di Evita Peron e quel riff iniziale di “papa don’t preach” che appena lo senti, ti catapulta subito nel 1986 e a quel periodo dove avevamo tutta la vita davanti e il mondo ai nostri piedi.
Nel 1998 era a pochi metri da me a un incontro per la stampa agli European Music Awards. Notai una cosa: non guardava in faccia nessuno. Letteralmente. Tutti avevano gli occhi fissi su questa leggenda pronti a sbranarla in cerca di assenso, complicità, gioia di dire “è umana, mi ha guardato e magari sorriso”. Ma lei stava lì: ostinata e sola. Pronta a tenere fede al cartello “non toccare” che c’è davanti a tutti i capolavori.
Sono passati quasi 40 anni e su Madonna il cono di luce non si è ancora spento. Ma è innegabile il fiatone. Il fatto che non stia più muovendo le fila e i riflettori del cono di luce ma che ci stia correndo dietro. Affannosamente. Ed è una sensazione che viene da lontano. Da quando ha cominciato a farci accaponare il cuore sentendola indulgere continuamente nel namedropping e nel branddropping, nominando sempre se stessa in un eterno autohype da wannabe e non da regina, tenuta a stare un gradino sopra. Ma il vero tracollo è stato quest’anno. E sì, è inevitabile parlare degli annullamenti dei concerti che stanno continuando copiosi. Ai ritardi, a lei che in questo continuo “processo a se stessa” deve dimostrare di essere una guerriera, di farcela sempre. Lei, nella sua testa, sta combattendo per i suoi fans. Non cede, non molla. Senza capire che, in realtà, sta combattendo solo con i suoi detrattori. Mentre i suoi fans perdono centinaia di euro a sera perché lei non ha il coraggio o la prontezza di fare l’unica cosa che andrebbe (o andava) fatta: sospendere e riprogrammare il tour per tempi migliori.
Madonna ci ha cresciuto essendo, respirando, trasudando libertà. Ora è solo schiava. Facciamo un esempio: va il culo come quello delle Kardashian? Lei se lo fa uguale. Lo so, lo so: state pensando che questa sia la vera libertà. Ma si è veramente liberi quando si inseguono le mode del momento? Si è liberi quando si decide di lanciare un pezzo reaggeton quando tutto il mondo fa reggaeton? Non è essere schiavi, inseguire un mercato che hai dominato come nessun’altra al mondo?
C’è però una critica becera che leggo puntualmente dopo ogni sua apparizione pubblica: “Ha 60 anni e vuole vestirsi come una di 25. Dovrebbe conciarsi in modo appropriato alla sua età”. Ma chi stabilisce come una donna di 60 anni deve vestirsi? Anni di discussione sull’autodeterminazione del proprio corpo e siamo ancora qui: a contare i centimetri della gonna e quanto sia strizzato il push up. E lasciamo stare i dischi così così, le gambe che la mollano, la poca consapevolezza di se stessa. Perché tanto lei continuerà a tirare fuori le sue magnifiche tette invitando serenamente ad andare a fan*ulo noi, voi e probabilmente pure tutta questa disamina su di lei.