Luigi Di Maio come Gianfranco Fini: da leader a grande escluso. Tutte le similitudini
Fra i grandi sconfitti di queste elezioni politiche 2022 c’è sicuramente Luigi Di Maio: la sua lista “Impegno Civico” si è fermata allo 0,6% dei voti, pari a poco meno di 170.000 voti assoluti su base nazionale. Un risultato che determina la fine della carriera parlamentare dell’attuale ministro degli Esteri, la cui lista non supera lo sbarramento (e non raggiunge neanche l’1% che avrebbe almeno in parte attribuito tali voti agli altri alleati della coalizione di centrosinistra), oltre al fatto che lo stesso Di Maio ha perso nel collegio uninominale della Camera di Napoli Fuorigrotta, arrivando al 24,4%, alle spalle del suo ex collega ministro del Movimento 5 Stelle Sergio Costa (che ha vinto col 40%), dovendo quindi salutare Montecitorio dopo quasi 10 anni.
Osservando le dinamiche politiche dell’ultimo periodo e anche i risultati alle urne, l’uscita di scena di Di Maio ricorda molto quella che ebbe Gianfranco Fini nel 2013. Le similitudini fra i due non mancano. Sono entrambi passati da un’elezione all’altra a essere fra i leader del partito più votato, allo “zero virgola”, non venendo neanche personalmente rieletti in Parlamento. Ricordiamo infatti che Fini passò da essere fondatore del PDL con Berlusconi che nel 2008 fu il partito più votato con il 37% (venendo anche eletto presidente della Camera) a diventare il leader di una lista (Futuro e Libertà) che alle elezioni politiche del 2013 ottenne solo lo 0,47% (pari a 159.000 voti assoluti), al 12° posto fra i partiti più votati a quelle elezioni.
Mentre appunto Di Maio è passato da essere il leader del M5S, che nel 2018 fu il primo partito italiano col 34,2% dei voti (diventando vice-premier e ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro e successivamente ministro degli Esteri), alla scissione del giugno scorso (con con un gruppo denominato “Insieme per il Futuro”, termine che appunto proprio Fini aveva già usato senza fortuna dieci anni fa) e poi alla creazione della lista “Impegno Civico”, che appunto ha avuto ora lo 0,60% alla Camera (e lo 0,56% al Senato).
Curiosamente tale lista, che comprende anche Centro Democratico di Bruno Tabacci, si è classificata al 15° posto fra le più votate a queste elezioni. In particolare è arrivata dietro non solo ai partiti più grandi, ma anche alle formazioni create da altri soggetti che nel corso della legislatura avevano abbandonato il Movimento 5 Stelle. Si pensi a ItalExit di Pierluigi Paragone, che ha ottenuto l’1,9% (oltre mezzo milione di voti), ma anche a Vita, lista formata da Sara Cunial che ha ottenuto lo 0,70% (pari a 200.000 voti). Inoltre Di Maio è arrivato dietro – sul piano nazionale – anche alla lista regionale siciliana di De Luca (0,74% su base nazionale), precedendo solo la Sudtiroler Volks Partei altoatesina, che ha avuto lo 0,47% su base nazionale.
Complessivamente questi dati dimostrano quindi che quella di Di Maio sia stata, fra le varie “scissioni” subite dal Movimento 5 Stelle in questi anni, quella che – alla luce dei risultati elettorali – ha avuto meno consensi alle urne.