La lotta globale dei lavoratori dell’automotive
La chiusura di Marelli a Crevalcore. Gli scioperi contro Stellantis a Melfi e negli Usa. I problemi di Volkswagen. Dall’Europa all’America l’elettrificazione rende incerte le prospettive per milioni di persone. Ed emerge una distanza crescente tra operai impoveriti e manager premiati
C’è un filo che lega la lotta operaia di Crevalcore contro la chiusura della fabbrica Marelli, lo sciopero unitario dei lavoratori di Melfi, l’aspra vertenza del sindacato dell’industria dell’auto Uaw in America e anche le difficoltà in cui si dibatte la Volkswagen, il primo produttore europeo.
Dall’Europa a Detroit emergono tensioni e scontri di interessi tra lavoratori e multinazionali, non solo per la necessità di difendere diritti, salari, occupazione, come è sempre stato, ma la protesta, l’insofferenza, la rabbia dei lavoratori sono rivolte contro un cambiamento di paradigma dello sviluppo industriale e dell’organizzazione produttiva di cui non si riesce a immaginare l’impatto.
L’avventura dell’auto elettrica, la creazione di gigafactory per le batterie, la concorrenza cinese finanziata da Pechino, l’abbandono delle vecchie linee di produzione e dei motori rendono incerte le prospettive di vita e di lavoro per milioni di persone.
C’è una protesta diffusa che sale contro le case automobilistiche, una distanza crescente tra lavoratori impoveriti e manager premiati con retribuzioni scandalose, tra sfruttati e privilegiati, tra dipendenti e azionisti, mentre avanza una metamorfosi tecnologica, di processo e di prodotto, nell’industria simbolo del capitalismo.
Non c’era bisogno di aver studiato ad Harvard per capire che la decisione di John Elkann di vendere un gioiello della componentistica per auto come la Magneti Marelli, in coincidenza con il “matrimonio” di Fiat (in realtà un take over francese) con Psa, avrebbe determinato un impoverimento del tessuto industriale italiano e un arricchimento degli eredi Agnelli.
Mentre la francese Faurecia, colosso della componentistica, è il primo fornitore di Stellantis, in Italia si chiudono le fabbriche perché «insostenibili», spiega Calsonic Kansei, il nuovo proprietario giapponese di Magneti Marelli controllato dal fondo americano Kkr, lo stesso che vorrebbe comprare la rete Tim con il sostegno dello Stato italiano. Incredibile! Da una parte questi capitali yankee mandano a casa 230 lavoratori, dall’altra vengono corteggiati dal Governo per un’operazione strategica nel sistema delle telecomunicazioni.
Crevalcore ha la “colpa” di essere vecchia, legata al motore termico, non ci sono piani di riconversione, e anche altri centri produttivi rischiano la stessa fine perché non c’è una politica industriale degna di questo nome nella stagione sovranista.
Anche Melfi, polo decisivo per l’economia del Mezzogiorno, è in allarme per la latitanza di Stellantis e della politica. Per la prima volta, dopo l’esclusione della Fiom ai tempi della rottura con Sergio Marchionne, c’è stato uno sciopero unitario. I sindacati che denunciano «la mancanza di prospettive produttive e occupazionali» mentre continua l’uscita incentivata dei lavoratori.
Quando saranno in produzione i cinque nuovi modelli elettrici? Cosa succederà a Pomigliano e ai resti di Mirafiori? I veicoli commerciali di Atessa finiranno in Polonia? La gigafactory di Termoli occuperà tutti i dipendenti? Interrogativi che non trovano risposta perché chi dovrebbe rispondere sta in Francia, gode del sostegno dello Stato azionista di Stellantis, mentre il nostro esecutivo balbetta.
La sfida elettrica è centrale anche nella vertenza aperta dal sindacato americano contro le Big Three (Ford, General Motors, Stellantis) di Detroit. Uaw chiede un aumento salariale del 20% subito e del 5% annuo fino al 2027, un incremento del 40%, quanto guadagnato in più dai top manager delle case automobilistiche grazie agli enormi profitti realizzati negli ultimi anni.
Il sindacato, inoltre, vuole aumenti e garanzie contrattuali per gli operai della filiera delle auto elettriche che i padroni hanno privato del contratto collettivo di lavoro utilizzando joint ventures create appositamente.
Il presidente Joe Biden auspica un «giusto contratto» per i lavoratori mentre la sua amministrazione garantisce ricchi incentivi all’industria per la riconversione elettrica. Tra poco parte la campagna per le presidenziali. L’auto, il sindacato, i salari saranno in primo piano. Un po’ di Novecento che ritorna.