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Basta con la minimizzazione. La politica è responsabile di quanto è avvenuto in Lombardia

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Attilio Fontana e Giuseppe Conte

A un mese e mezzo dall’inizio della catastrofe in Lombardia è possibile cominciare a tirare le somme rispetto a una situazione in cui il Coronavirus ha avuto un peso nel determinare la drammaticità di quanto accaduto ma non certamente un ruolo unico. Anzi, si può affermare con quasi sicura certezza che le responsabilità umane nel procurare questo estremo danno siano oltremodo presenti. In misura sconvolgente e sconcertante. Basta afferrare le carte, muoversi tra le pagine dei giornali, sentire, ascoltare le innumerevoli testimonianze di chi a questo sfacelo ha dovuto assistere. Come i parenti delle vittime. Come i medici e il personale infermieristico che è stato costretto a lavorare in condizioni orrende. Al punto tale da dover scegliere in numerosissimi e speriamo non infiniti casi se concedere il diritto di vita o di morte, se mettere in salvo o no le persone.

L’Italia ha già conosciuto una tragedia metaforicamente simile nel 1963, quando il “tracimamento” dell’acqua provocato dalla frana di una parete del monte Toc provocò l’inondazione dei paesi di Erto e Casso e di Longarone (Friuli e Veneto), causando la morte di migliaia di persone. Chi oggi non ha vigilato sulla creazione di un “confine”, l’unico vero necessario all’arginamento dello “tsunami” come molti tra la stampa e i politici amano ripetere, quasi a “giustificare” il fatto di essere stati presi alla sprovvista, dovrà pagare pubblica ammenda. È evidente che il virus è dilagato perché non è stato fatto alcunché, a monte e non a valle, per contenerlo. È stato lasciato spandersi e spargersi per il territorio, dove si è “infilato” ovunque, tra le persone, negli ospedali, tra le corsie e i letti degli ammalati. Qualcuno vuole rispondere di questo?

Qualcuno che lega tra i propri contatti e i propri legami personalità appartenenti sia al mondo della regione, che dell’industria e del governo? Le numerose inchieste televisive, come anche gli articoli giornalistici diffusi anche precedentemente all’inizio delle indagini, dicono molto di questa realtà. Della mancanza di un argine, degli aperitivi spinti a oltranza contro qualsiasi evidenza, della “bighellonaggine” di alcuni sindaci, preoccupati più di “confermare” e “assicurare” una certa immagine della Lombardia piuttosto che di prendersi cura come si deve della popolazione. Le evidenze erano lì: l’inizio dei contagi, i pazienti ammalati. A cosa hanno esposto i cittadini? Se non a una valanga che ha portato via con sé più di diecimila persone? Non tutti sono morti “solo” di coronavirus, mica i cittadini sono stupidi. E adesso è probabile che chiedano a gran voce giustizia.

Perché è bene che le istituzioni, il governo, i ministri e le ministre sappiano che noi non possiamo e non dobbiamo essere affidati a gente che non sa o non vuole proteggere anche a un livello elementare. Quello che questa malattia avrebbe richiesto, come è accaduto in altre regioni e in altri paesi, che con la saggezza e la competenza sono riusciti a gestire un virus evidentemente non impossibile da controllare. È accaduto in Veneto grazie ai medici di Padova e alla loro maestria, in Germania, in Nuova Zelanda, a Taiwan mentre lo stesso non è avvenuto in Francia, Stati Uniti, Cina, dove ci si è mossi con molto ritardo. Per motivi riconducibili soprattutto all’interesse economico e alla sconsideratezza dei governanti. Migliaia di persone sono morte così, è bene saperlo. Migliaia di persone anziane ma anche disabili, i vulnerabili della società, a cui non è stata risparmiata sentenza. A cui non è stata concessa l’estrema unzione in caso di desiderio, a cui non è stata data la possibilità di salutare un familiare, di congedarsi come il vincolo etico della pietà umana avrebbe richiesto.

Di questo il Coronavirus non è l’unico responsabile. C’è molto di più e molto altro, come sta trasparendo da numerose denunce. In Lombardia, date le numerose evidenze, si è “consumata” una tragedia dell’umanità, una dissipazione della forza e della protezione dello Stato verso la cittadinanza, confluita in una indegna manifestazione di ferocia: le persone consegnate in pasto al potere, ai meccanismi e agli ingranaggi che adesso spetta ai magistrati rivelare. Ci aspettiamo molto, se non tutto. È evidente, come è emerso, che se le case di riposo per anziani (RSA – Residenze sanitarie assistenziali) sono state “interpretate” e utilizzate come bacini e “sversatoi” a comodato d’uso, qualcuno ne dovrà rispondere. Come anche della mancata premura, dell’assenza di considerazione nei confronti di pazienti in larga misura oltre i sessant’anni, come se la loro morte in quelle condizioni fosse giustificabile. Perché li hanno lasciati morire così? Senza protezione, senza tampone per discernere tra gli ammalati e i sani? Perché questa vistosa mancanza di disposizioni protettive? È su questo che i magistrati devono indagare, cercando di risalire al corpo immondo che ha procurato questa mancanza totale di fedeltà ai diritti e al rispetto per i cittadini secondo i principi costituzionali.

A livello regionale ma anche statale, dato che fino all’ultimo la Protezione civile ha praticamente e di fatto sconsigliato l’uso delle protezioni minime per poter “campare” in queste condizioni: le mascherine. Perché lo hanno fatto? Perché molti degli ordini effettuati in tal senso dai presidenti di regione sono stati smistati male o addirittura “bloccati” dall’organismo competente e addirittura in altri Stati? Chi aveva interesse a non proteggere per bene i cittadini, il personale medico e infermieristico che a propria volta ha contribuito al diffondersi inusitato del contagio? Chi? E soprattutto, perché lo ha fatto? Tre fatti sono oltremodo evidenti: l’assenza di protezione nella mancata creazione di una zona rossa intorno ai comuni di Alzano e Nembro e dunque la “libertà” di propagazione concessa al virus; la mancata (voluta o meno) protezione dei sanitari; l’assenza di un intervento rigoroso, deciso di “distribuzione” e “smistamento” dei pazienti che non prevedesse l’“evacuazione” degli stessi al fine di “liberare” le case di cura. Intorno a questo “snodo” primario, che assorbe e intreccia pubblico e privato, locale e statale, a questo crocevia, si gioca tutto. E le risposte chiamano in causa il problema dell’incompetenza nella lettura della realtà, della dabbenaggine, della mancanza di sapiente prontezza – non più accettabili dati i loro effetti – e dell’interesse politico ed economico spinti su un piano criminale.

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