È vero, ha ragione suo figlio: noi non ce la meritiamo Liliana Segre
Ma l’avreste mai immaginato, dico almeno dieci anni fa, che il figlio di una deportata dovesse scrivere a un quotidiano per difendere sua madre? Il commento di Giulio Cavalli
Poi arrivano, come pietre, le parole del figlio primogenito di Liliana Segre che restituisce il giusto peso ai fatti e alle parole, alle troppe parole che in questi giorni sono state vomitate stropicciando perfino il dolore di una deportata a Auschwitz come se davvero la politica e questi politici avessero il diritto di trasformare tutto in letame e chiacchericcio.
“Ma voi credete davvero che mia madre sia una che si fa strumentalizzare? Con quel numero sul braccio, 75190, impresso nella carne di una bambina? Credete davvero che lei si lasci usare da qualcuno per vantaggi politici di una parte politica in particolare?”, ha scritto al Corriere della Sera Alberto Belli Paci e in queste poche domande c’è tutto il burrone tra le bambinate della nostra classe dirigente (?) e la realtà dei fatti, quella che si è fatta storia e che fatica a diventare memoria, quella che è impressa a fuoco nelle cicatrici dei vivi e nella sparizione dei morti.
Ma l’avreste mai immaginato, dico almeno dieci anni fa, che il figlio di una deportata dovesse scrivere a un quotidiano per difendere sua madre?
Avreste mai immaginato che questo gorgo che strumentalizza tutto, che sporca tutti senza ritegno, che confonde dolori reali e bugie per propaganda trovasse talmente tanto spazio da diventare una marea in grado anche di bagnare i sopravvissuti al razzismo, al fascismo e alle deportazioni?
Avreste mai immaginato una leader di centrodestra, in questo caso Giorgia Meloni, costretta a telefonare a Liliana Segre per provare a spiegarle (e spiegarci) che l’odio va condannato ma? Con quel “ma” sempre attaccato alle reazioni più indegne che dobbiamo sorbirci?
Avreste mai immaginato che un’orda di commentatori e cittadini (tutti con nome e cognome, tutti facilmente reperibili, molti addirittura dentro le stanze del Parlamento) potesse permettersi di immaginare la Segre disposta a mettere sul tavolo della politica la sua storia (e quel numero tatuato sul braccio) per favorire i giochetti di partito di quella o di quell’altra parte, come se davvero qui fuori ci interessi quello stolto bighellonare di questi miseri leader di miseri partiti?
Qui siamo oltre alla solita mancata connessione con la realtà: qui siamo allo stupro quotidiano della dignità, del dolore e della storia delle persone. Tutta questa losca agitazione per ottenere un po’ di consenso marcio da mettere in fienile nell’attesa delle proprie elezioni.
E ne escono malissimo tutti: ne escono male loro e purtroppo ne usciamo male anche noi.