La lezione che possiamo trarre dal voto delle europee
Dall’immigrazione al lavoro passando per le pensioni, è nel campo delle politiche sociali, esacerbate dai conflitti in corso, che si sono vinte e perse queste elezioni
Ci sono due letture essenziali che si possono trarre dalle recenti elezioni Europee. Una prima lettura, prettamente politica, dimostra innanzitutto come i partiti al governo, in Francia e Germania (fa eccezione l’Italia), siano quasi completamente usurati da due anni di inflazione, guerra, macelleria sociale.
Sfiancati dal risultato elettorale che ha visto trionfare i partiti di estrema destra, Emmanuel Macron e Olaf Scholz sono i due grandi sconfitti del voto. Di più: sono la rappresentazione plastica di una serie di politiche economiche e sociali che, complice l’era in cui hanno avuto la sfortuna di incappare, sono risultate fallimentari sia sul piano comunicativo che della loro messa in pratica. Generando disagio, frustrazione, disillusione. Esclusione.
Trincerati dietro il riarmo che ha coinvolto l’intero continente e il bellicisimo più sfrontato a là Macron-maniera, si sono illusi di combattere per conto di un inconsistente “centro” politico a favore di un’Europa “autonoma e non asservita agli USA”, quando in realtà ne sono stati, in questi anni, i più fervidi chief executive officers. Andando persino oltre le ricette economiche del neo-liberismo promosse dagli USA; anzi, spingendosi ben oltre e applicandole in maniera più brutale. Talvolta feroce.
Basti pensare a una differenza sostanziale: in era-Covid gli Stati Uniti, che ogni tanto qualcuna la azzeccano, hanno messo i soldi in mano ai lavoratori; in Europa è stato deciso che i soldi andassero alle imprese. Il risultato è che i primi oggi hanno più occupazione, noi il caso Santanchè.
È necessario un cambio al vertice europeo, dunque. Certo. Ma con chi? E per fare cosa?
Con questi quesiti arriviamo al secondo punto. La lettura sociale che emerge da questo voto dimostra infatti come – al di là della classe dirigente dei governi che contano in Europa – un intero continente si è dimostrato apertamente contrario alle politiche regolatorie di cui l’Unione si è fatta portavoce negli anni (politiche peraltro spesso utilizzate in modo sproporzionato dagli stessi Stati membri).
Dall’immigrazione al lavoro passando per le pensioni, è nel campo delle politiche sociali, esacerbate dai conflitti in corso, che si sono vinte e perse queste elezioni.
Anche il “caso italiano” rivela qualcosa sul piano della lettura sociale: in Italia il voto delle Europee ha segnato un temporaneo ritorno del bipolarismo, con due donne vincenti, leader dei principali partiti di maggioranza del Paese, il cui totale dei voti costituisce il 50 per cento dei consensi. Il partito dell’underdog che non hanno visto arrivare e quello di Elly-pop che ha portato il Pd un pochino più a sinistra, liberandosi (ancora solo in parte) di personaggi e temi spinosi che nessuno aveva il coraggio di affrontare.
Fa riflettere il risultato al di sopra delle più rosee aspettative conseguito dall’Alleanza Verdi Sinistra. Performance che evidenzia un filo rosso, sottile ma potente nel suo significato, che sovrappone – vuoi per convenienza, vuoi per opportunità – le cause scriteriate di un nazionalismo isolazionista, iniziato con la Brexit quasi un decennio fa e proseguito con l’avvento di Trump negli USA, con quelle anti-establishment a favore della pace, della giustizia sociale e ambientale.
Complessivamente, numeri alla mano, il campo largo delle sinistre unite non è mai stato così attraente per battere le destre in Italia; ma come sapete bene l’aritmetica è una cosa, la strategia e il buon senso della sinistra un’altra.