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La lezione che arriva da Madrid: perché dobbiamo salvare il Servizio Sanitario Nazionale (di G. Gambino)

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Domenica 12 febbraio alcune centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza a Madrid per difendere il servizio sanitario pubblico nazionale spagnolo. Una manifestazione imponente, e di enorme importanza, che ha portato per le strade della capitale almeno 250mila persone.

Le immagini della folla, riunitasi per protestare contro il Partito popolare conservatore, che detiene il potere all’Assemblea legislativa della Comunità autonoma di Madrid e incline a privatizzare la sanità pubblica, sono di una potenza unica. Non si vedevano da anni così tanti cittadini marciare insieme per chiedere il mantenimento del sistema sanitario al cento per cento pubblico e universalmente accessibile dall’intera collettività.

Come il Ssn italiano, anche il sistema sanitario spagnolo è articolato su base regionale, tanto che vigono servizi sanitari diversi in ciascuna delle 17 comunità autonome che costituiscono, da un punto di vista amministrativo, il Regno di Spagna. In Spagna c’è al potere da due anni un governo di centrosinistra guidato dal socialista Pedro Sanchez, ma nella Comunità autonoma di Madrid il Partito popolare conservatore detiene il potere all’Assemblea legislativa. Ed è proprio qui che da diverse settimane avviene lo scontro più duro per ciò che concerne il futuro della sanità pubblica.

Un tempo fiore all’occhiello e modello per decine di Paesi nel mondo, oggi il servizio sanitario spagnolo è sempre più conteso, da un lato, da chi lo vuole mantenere nelle mani dello Stato a servizio della collettività (è il caso dei cittadini scesi per le calle spagnole questo fine settimana) e, dall’altro, da chi è sempre più incline a privatizzarlo, rendendolo di fatto una commodity di lusso ristretta alle possibilità di pochi (è appunto il caso del Partito popolare conservatore madrileno).

Il timore è che in assenza di un’opposizione solida, la privatizzazione della sanità pubblica possa estendersi come un’onda contagiosa anche altrove. Per questo è importante che la protesta spagnola apra gli occhi anche alle altre capitali europee.

Si tratta, in fin dei conti, della più grande e imponente manifestazione a difesa della sanità pubblica da quando è terminata l’emergenza Covid. Come ricorderete, quasi ovunque nel mondo, i governi avevano promesso un importante intervento a favore dei servizi sanitari nazionali, per non rivivere «mai più» quanto abbiamo vissuto durante la pandemia. Primo su tutti si era reso indispensabile investire sulle terapie intensive, di cui in Italia ad esempio molte regioni erano (e sono tuttora) carenti.

Eppure, una volta tornati alla normalità, l’emergenza sanitaria e i necessari investimenti non erano più così «urgenti». Tutto come prima. Anzi peggio. Sì, perché se prima del Coronavirus il sistema pubblico più o meno teneva, reggendosi di fatto sull’incredibile resistenza dei medici, oggi quegli sforzi non sono più sufficienti: non basta il personale sanitario (da sempre) e pochi tra dottori, infermieri e operatori socio-sanitari sono ancora disposti a lavorare così duramente per poi scoprire che nulla cambierà. 

Di più: se prima il pubblico si basava, anche, su una fitta rete di medici di base e di realtà territoriali che intercedevano tra il paziente e l’ospedale, oggi quelle catene sono completamente saltate. Le strutture, spesso, sono mal organizzate dal management che le gestisce; e manca quasi sempre una pianificazione attenta del personale.

Infine: l’ambivalenza delle strutture private accreditate con il Ssn e, in ugual modo, di quelle pubbliche che offrono servizi a pagamento (intramoenia). Tenuto conto della giungla del sistema sanitario pubblico, va da sé che chi può, e ha fretta, opta per un servizio pubblico-privato. Né sorprende che «ci sono delle situazioni in 13 regioni dove, per alcune prestazioni, l’intramoenia supera in volumi l’attività istituzionale, in qualche caso addirittura di tre volte», come emerge dal report dei monitoraggi nazionali ex ante dei tempi di attesa per l’attività libero professionale intramuraria di Agenas. 

Senza considerare poi che nel 2019, come ha ricordato Milena Gabanelli nel suo DataRoom, gli italiani hanno speso 34,85 miliardi di euro per sostenere di tasca propria le visite e le cure mediche; nel 2021 la cifra è arrivata a 37 miliardi. Chi può si fa visitare dal privato; chi invece non può aspetta mesi o anni. Con tempi d’attesa aumentati ulteriormente rispetto all’era pre-Covid. Ed è per questo che la lezione di Madrid – coraggiosa e forte come non mai – deve servire da volano a tutti noi. Per salvare il Ssn italiano. Per porre rimedio da subito, una volta per tutte, alle cause. E non ai sintomi.

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