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Home » Opinioni

La legalizzazione della Cannabis riscuote consenso, ma il Parlamento è troppo conservatore per accorgersene

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Il pretestuoso moralismo, ipocrita e sostanzialmente disinformato con il quale Salvini ieri ha attaccato il ministro Orlando sulla questione della legalizzazione delle droghe leggere – ma la cosa riguarda un gran numero di parlamentari – è ormai diventato insostenibile, perché cavalca la retorica falsa secondo cui le droghe leggere – esattamente come le droghe pesanti – trasformano i giovani in tossici senza speranza.

Conosciamo già il “racconto” dell’immigrato cattivo che viene qui per rubarci il lavoro e diffondere il virus, laddove proprio i decreti cosiddetti “sicurezza” hanno aumentato in maniera esponenziale l’insicurezza nelle città e i posti di lavoro nel settore dell’edilizia e dell’agricoltura sono carenti da decenni. Allo stesso modo, sulla legalizzazione della cannabis si generano mostri per alimentare insicurezze nella popolazione. È un sistema che preferisce relegare al contrabbando mafioso il commercio di una sostanza che se regolamentata non costituisce un problema.

Non staremo ad approfondire come la storia economica del Paese sia stata partecipata per secoli dalle piantagioni di canapa in Emilia Romagna né insisteremo su come gli usi di questa pianta, bandita più per una lotta commerciale con i produttori di cotone d’oltreoceano che non per i suoi effetti avversi sulla salute, non abbiano prodotto nella storia più morti di quelli per tabagismo o alcolismo.

Siamo a questo punto: un referendum popolare sulla legalizzazione della cannabis che ha abbondantemente superato le 600 mila firme non viene promosso come dovrebbe da alcuna segreteria di partito della maggioranza e da alcun editoriale della stampa nazionale. Nella scorsa legislatura fu creato un intergruppo parlamentare su iniziativa di Benedetto della Vedova che proponeva proprio la legalizzazione e che per la prima volta raggruppò circa 250 parlamentari favorevoli. Il ddl che ne scaturì non prese mai corpo per una resistenza interna alle segreterie dei partiti anche di sinistra e per una sostanziale ignoranza sul tema della classe dirigente del Paese.

Durante questa legislatura, nei due governi Conte e nel governo Draghi, la questione (referendum a parte) non è mai stata ripresa seriamente, se non in maniera saltuaria e poco incisiva, nonostante molto sia cambiato nell’opinione pubblica sul tema e altrettanti siano i cambiamenti che si vanno generando a livello europeo nelle politiche di apertura sui una progressiva liberalizzazione.

Oggi Orlando, sostenuto poi dal responsabile organizzazione del Pd, Stefano Vaccari, e da diverse voci all’interno del partito, compresa quella proveniente da una delle Agorà più partecipate sul tema legalizzazione promossa da Marco Furfaro, ha aperto una riflessione importante. Dalla sua posizione di Ministro, egli ha chiesto un dibattito franco sul tema cannabis, facendo riferimento alle politiche innovative adottate dalla Germania a tal proposito, e attirandosi così le polemiche di Salvini che – da socio di maggioranza – gli ha suggerito di concentrarsi sui problemi del lavoro.

Polemiche inopportune e insensate, non tanto per il fatto che un Ministro può esprimere la sua opinione sulle questioni che ritiene importanti senza doversi sentire censurato da un suo partner di governo, ma soprattutto perché – come sottolineato dagli stessi Furfaro e Vaccari – le questioni legate alla generazione di posti di lavoro e alla riconversione ecologica dell’economia che seguirebbero alla legalizzazione della canapa sono di importanza strategica per il rilancio di interi settori del Paese, dall’edilizia bio-sostenibile, al comparto tessile, all’industria farmaceutica, alle applicazioni nella cosmetica, alla produzione di bio-carburante e bio-plastiche, agli stessi usi alimentari, fino anche alle recenti applicazioni nel campo delle nanotecnologie.

Tutti i processi di produzione e smaltimento della canapa sono virtuosi in termini di impatto ambientale, dall’abbattimento dei livelli di CO2 nell’aria, al basso consumo di acqua per la coltivazione, allo smaltimento totalmente biodegradabile di tutte le sue componenti. In pratica, una delle piante più virtuose e importanti che la natura ci ha regalato, quella che sarebbe più utile alla svolta green dell’economia, è bandita dalla produzione e dichiarata illegale da circa un secolo.

Non a caso la cannabis è stata legalizzata o depenalizzata in molti stati europei e americani per uso terapeutico e sempre più per uso ricreativo, per esempio in tutti gli stati della West Coast degli USA, in Argentina, Austria, Olanda, Spagna, Svizzera, Canada, Germania, Regno Unito e Portogallo. Solo i Paesi più retrogradi e conservatori continuano a resistere con argomentazioni tese a generare un clima di terrore per riscuotere consenso.

In Italia si preferiscono ignorare i processi virtuosi che genererebbero la produzione di canapa per regalare indotti miliardari all’economia mafiosa. Questo tipo di posizione non tiene alcun conto del fatto che milioni gli italiani fanno un uso frequente o sporadico di hascisc e marjuana, garantendo così enormi guadagni per l’economia malata, contribuendo all’aumento della criminalità non solo mafiosa, ma anche della micro-criminalità nella quale si trovano molti ragazzi che si trovano a fruire di una sostanza oggetto di spaccio e regolata dalle regole violente del mercato illegale.

Esiste inoltre un enorme problema di sovraffollamento delle carceri, per il grande numero di detenuti incarcerati per reati attinenti all’uso, la coltivazione e lo spaccio di droghe leggere: un costo sociale ed economico altissimo per il Paese. Addirittura le destre si spingono a proporre un aumento delle pene, invece di puntare su una seria politica di depenalizzazione di questi reati minori e concentrare le risorse sui tanti nodi scoperti della giustizia, come per esempio la lotta ai femminicidi.

Mai come oggi il tema riscuote un ampio consenso soprattutto nelle fasce giovani della popolazione, quelle che sono spesso tacciate di indifferenza alla vita politica del Paese. Così come per il DDL Zan, il Parlamento italiano, pur essendo il più giovane della storia in termini anagrafici, sulla questione legalizzazione delle droghe leggere si conferma conservatore, vecchio e reazionario a qualsiasi forma di cambiamento della società. Ci si arrocca sui fortini del moralismo per impedire a un’intera generazione accusata di immobilismo di autodeterminarsi.

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