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Jo Squillo col niqab al Gf Vip: così la tv spazzatura banalizza la tragedia delle donne afghane

Immagine di copertina

Ci sono molti modi per riuscire nella mirabile impresa di abbracciare una causa giusta e rimediare comunque una pessima figura, ma Jo Squillo al Grande Fratello Vip che indossa il niqab come se fosse un pittoresco abito di scena per stupire la platea è forse uno dei peggiori esempi di banalizzazione nel peggiore contesto, con i peggiori coprotagonisti, con la peggiore conduzione e con il peggiore pubblico possibile.

Accade che Jo Squillo, annusando la golosità del tema della donne in Afghanistan (e c’è da augurarsi che volesse essere una furba mossa di marketing, perché l’idea che possa averlo fatto in buona fede atterrisce perfino di più) decida di presentarsi in diretta con il niqab, le mani giunte e gli occhi da cucciolo abbandonato, circondata dagli altri partecipanti allo show che come prefiche hanno assunto la loro migliore posa pietosa, tutti immersi nella parte di quelli che credono di avere inventato il “reality civile” che dalla casa del Grande Fratello esporta democrazia.

«Anche in un momento così di gioia e di leggerezza è chiaro che noi donne, e anche gli uomini, non possiamo dimenticare e creare degli atti di solidarietà per le sorelle di Kabul», ha detto Jo Squillo con le mani a scodella (roba che nemmeno nei peggiori presepi viventi del saggio di Natale) e il conduttore Alfonso Signorini commosso e partecipe che fiutando il sangue invita tutti al fragoroso applauso (e che fai? Non applaudi le donne afghane?) senza nemmeno farsi sfiorare dalla curiosità di quale sia la creazione “degli atti di solidarietà per le sorelle di Kabul” in una scenetta che imita l’immagine stereotipata delle vittime credendo davvero di poter diventare simbolo di un problema complesso che richiede studio, serietà e analisi.

Ma il peggio deve ancora arrivare. Signorini resiste due minuti nella posizione del contrito e poi invita “Jo Squillo con il niqab” ( che sembra il titolo di una commedia sexy all’italiana degli anni ’70) definendo il niqab “burka” (non sia mai che si dia l’impressione di saperne qualcosa, si rischierebbe l’alienazione dei telespettatori a sembrare troppo “professoroni”) perché, dice Signorini: «mica posso vederti tutta la puntata così, mi fai impressione».

Insomma, Signorini dice quello che gli altri non hanno il coraggio di dire: lo scherzo è bello se dura poco, altro che donne afghane, c’è da preparare la sfida di danza e le risse per lo share. L’importante è avere il materiale per infarcire i social, per una bella foto da dare in pasto a Instagram e qualche hashtag #solidarietà da spalmare su Twitter.

La conclusione poi è un capolavoro dell’indecenza: Jo Squillo decide di chiudere con una botta di bassezza ancora più bassa (sfidando l’impossibile) lasciando come chiosa della sua performance un quesito che rimbalza per la casa: “ma come fanno a indossarlo sempre?”, chiede.

L’estetica è l’unica chiave di lettura del mondo, ovviamente, e in effetti ci sentiamo tutti in colpa per non avere considerato nei nostri articoli sull’Afghanistan il caldo dittatoriale dato dal niqab, esattamente il problema peggiore per qualsiasi donna costretta a indossarlo. Così ancora una volta si riesce a usare il corpo delle donne afghane a scopo politico, questa volta dalla parte dei buoni ma sempre con le stesse imbarazzanti modalità.

La lezione è sempre la stessa: la pericolosità di chi non ha gli elementi per sapere leggere l’opportunità e il contesto è qualcosa che andrebbe presa tremendamente sul serio. Ma del resto essere inopportuni è la virtù più richiesta in certa televisione. Peccato che questa volta non siano bastati nemmeno i corpi dei concorrenti, ma si sia deciso addirittura di andarsi a prendere quelli già martoriati in una situazione molto più seria di un dopolavoro videosorvegliato mandato in diretta nazionale.

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