Senza Ius Scholae c’è dis-integrazione
I ragazzini di origine straniera nati o cresciuti qui sono già di fatto italiani Chi continua a negare loro la cittadinanza non fa il bene del nostro Paese
Quando ideammo lo Ius Scholae (io, Gabriella Nobile, Amin Nour, l’ex pm Gherardo Colombo e Diana Pesci) capimmo subito che, nella guerra ideologica tra la destra e la sinistra in merito alla riforma della legge sulla cittadinanza, ci doveva essere una linea mediana che trovasse d’accordo i sentimenti degli italiani che hanno diverse ideologie politiche e allo stesso tempo riconoscesse come figli della stessa Italia tutti i ragazzini di origine straniera che sono nati o cresciuti nel Bel Paese. Pertanto, anziché vedere come principale interlocutore politico gli amici del centrosinistra (era scontato la pensassero come noi) decidemmo di avviare interlocuzioni soprattutto col centrodestra.
Non è un caso che il segretario di Forza Italia, Antonio Tajani, subito dopo l’enorme contributo degli atleti italiani di origine straniera nella conquista delle bramate medaglie olimpiche parigine, abbia d’impulso dichiarato «È giusto che i minori nati o cresciuti in Italia da genitori non italiani, e che abbiano frequentato un ampio ciclo scolastico, possano diventare cittadini della Repubblica». La bagarre mediatica che è scaturita dalle affermazioni del vicepresidente del Consiglio, riconosciuto uomo di destra, è probabilmente dovuta al fatto che per una volta – forse la prima – un rappresentate della destra italiana abbia esternato il suo pensiero a seguito di un’autentica emozione.
Tajani ha pronunciato infatti quelle parole sulla stessa onda emotiva che ha travolto la maggioranza dei cittadini italiani nell’ammirare le schiacciate dominanti della pallavolista Paola Egonu. Che me ne frega del colore della sua pelle e che me ne frega da quale mondo lontano provengono i suoi genitori, se lei, come me, si emoziona intonando l’inno di Mameli ed è pronta a sacrificarsi sotto il mantello del tricolore ?
Le maldicenze hanno subito insinuato che le affermazioni di Tajani fossero atte a destabilizzare il Governo, un Governo di cui lui stesso è ministro degli Esteri, nonché vicepresidente del Consiglio. Voi ci credete ? Ovvio che no. Ma si potrebbe affermare che, per una volta, il politico si sia romanticamente abbandonato all’idea che chiunque sia nato o cresciuto nel territorio della Repubblica debba per sua stessa natura essere considerato cittadino italiano, ossia appunto “figlio della Repubblica”.
Corpi non-estranei
Per coloro che avversano lo Ius Scholae, non ha senso indagare il livello di integrazione dei figli degli stranieri nati o cresciuti in questo Paese.
Ma la domanda è: «Integrali a cosa?», considerato che la parola integrazione, etimologicamente, significa la fusione di un corpo estraneo ad un nucleo predominante. Un bambino nato in Italia o ivi cresciuto, cioè un individuo che padroneggia l’idioma italiano perché ci è cresciuto da madrelingua, può essere considerato un “corpo estraneo” ossia uno “straniero”?
Ebbene, quello stesso bambino, che ha vissuto esclusivamente in Italia e mai ha realmente conosciuto il Paese dei propri genitori, se si vede negata la cittadinanza italiana, si trova ad essere a ragion di logica né italiano né cittadino di qualsiasi altro Paese: paradossalmente staremmo quindi ragionando di un individuo apolide a livello identitario. Male.
Discriminazioni
Se il figlio dello straniero compagno di banco di mio figlio si esprime nello stesso gergo di mio figlio e lui non è considerato cittadino italiano, perché allora un calciatore famoso come Matteo Retegui, che non parla la nostra lingua né riesce ad intonare l’inno di Mameli (figuriamoci a capirne il significato, tantomeno lo spirito ), deve essere considerato cittadino italiano con tanto onore dal poter vestire la casacca azzurra in rappresentanza di una nazione in cui non ha mai vissuto prima?
Ovviamente nessuno qui vuole negare a Retegui, ora in forza all’Atalanta, la cittadinanza italiana, perché ne ha diritto per ragioni di sangue, di discendenza da avi italiani. Guai a rivendicare un diritto negando ad altri i diritti, perché il bello dei diritti è che questi non fanno discriminazioni.
Però, restando sul binario, viene ancora da domandarsi, che cos’è l’italianità e quali logiche si applicano o sono giuste applicare nel riconoscimento della cittadinanza italiana?
Conviene a tutti
Da cittadino italiano, anche qualora non fossi persuaso dalla giustezza dello Ius Scholae, lo approverei comunque per esclusivo interesse economico. Perché? Immaginiamo il caso di Karim, nato in Marocco e compagno di banco di mio figlio: i suoi genitori lo hanno portato in Italia a soli 8 mesi, qui ha frequentato la scuola pubblica. Lo Stato italiano ha investito fondi pubblici nella sua formazione, ma poi gli nega la cittadinanza italiana. Karim senza la cittadinanza non può partecipare a molti concorsi pubblici, dunque è costretto ad emigrare in un altro Paese in cui sfrutterà tutto il sapere scolastico gratuitamente offertogli dallo Stato italiano, per poi essere celebrato come cittadino marocchino. Mi sembra una cosa economicamente insensata, forse un po’ da fessachiotti.
Sportivi e non
Neanche sembra ragionevole l’idea di uno Ius Soli Sportivo, che qualche esponente di sinistra ha lanciato nella bagarre. Perché ai figli degli stranieri nati o cresciuti in Italia non vanno applicate politiche di integrazione – emotivamente nascono già italiani – né sarebbe giusto subordinare la certezza della cittadinanza a meriti sportivi. Sarebbe come dire «Se non corri i 100 metri sotto i 9 secondi non sei italiano».
Ostinazione
Il bello dei diritti è che essi non discriminano. E quando un diritto è meritevole di essere definito tale, non va elemosinato, ma preteso.
Ora, nella insensata ostinazione del negare a questi ragazzi la cittadinanza – pretendendo senza logica la loro integrazione nel tessuto sociale quando questi, di per sé, sono già italiani nella loro conformazione culturale ed identitaria – non è che stiamo applicando politiche di disintegrazione anziché politiche di integrazione? A voi la risposta.