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La hybris di Usa e Ue genera mostri in Medio Oriente (di Elena Basile)

Immagine di copertina
Credit: AP Photo

La barbarie di Hamas ha colpito la società civile e la gioventù di Israele, vittime del terrorismo e della cecità occidentale. Perché la violenza genera violenza e il sangue non si cancella con una diplomazia vuota, incapace di individuare le vere cause delle guerre

Le elezioni di Hamas costituiscono una svolta nel conflitto medio-orientale. In precedenza i Paesi arabi, di intesa con la Cia e il Mossad, avevano finanziato attività terroristiche al fine di indebolire l’Autorità Palestinese che nel 1988 aveva piegato la sua intransigenza al realismo politico riconoscendo la risoluzione n. 242 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e l’esistenza dello Stato di Israele. Come ricostruivo nell’articolo precedente pubblicato su questa rivista, nel 1989, 90 Stati dell’Onu avevano riconosciuto lo Stato di Palestina delineato da Arafat sulla striscia di Gaza e in Cisgiordania.

La corresponsabilità israelo-americana nel far crescere l’ala terrorista è stata riconosciuta nel 2009 dal senatore Ron Paul in un discorso al Senato degli Stati Uniti. Come accade in modo frequente, la tattica statunitense è spregiudicata. È noto che, utilizzando terroristi e jihad islamica, concorre alla nascita di Bin Laden. Nel mondo odierno la tattica ha rimpiazzato la strategia. Raramente si ha una visione di lungo termine e si prevedono le conseguenze. Gli interventi occidentali in Afghanistan, Iraq e Libia hanno creato disastri. Sono fatti innegabili sui quali raramente i talebani dell’atlantismo militare si soffermano.

Il mito dello sceriffo globale
Ritornando al tragico scacchiere medio-orientale, dopo aver contribuito alla creazione del mostro, Hamas, una volta scoperto che esso ha messo radici a Gaza tanto da risultare eletto, Israele, Usa ed Europa lo sottopongono a sanzioni e impediscono il governo di unità nazionale con Al Fatah. Come è accaduto diverse volte, i principi democratici sono rinnegati. Essi sono validi se funzionali agli interessi geo-strategici dell’Occidente. Non ha dunque importanza se i palestinesi si siano espressi a favore di Hamas, che viene bollata una volta per tutte come organizzazione terroristica. Lo statuto dell’organizzazione nega l’esistenza dello Stato di Israele esattamente come la prima Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) e i Paesi arabi avevano rifiutato di accettare la risoluzione dell’Onu e la spartizione della Palestina in due Stati. La diplomazia occidentale esclude di principio la possibilità di un processo virtuoso che, con un negoziato reale sui nodi del conflitto in Medio Oriente, porti a un ammorbidimento delle posizioni di Hamas.

Una strategia così poco razionale era forse condizionata dal trauma dell’attacco alle Torri gemelle nel 2001, che aveva dimostrato la pericolosità delle organizzazioni terroristiche sul piano internazionale e la debolezza degli Stati Uniti. Eppure l’attacco al World Trade Center poco aveva a che fare con la questione palestinese e molto con il sostegno clandestino dato in funzione anti Urss ai terroristi afghani. Ma poco importa.

L’analisi degli strateghi occidentali non è dettagliata. All’attacco del 2001 al cuore di New York fanno da contrappeso le guerre di esportazione della democrazia, l’occupazione ventennale dell’Afghanistan conclusa con la vergognosa ritirata del 2021, l’invasione di uno Stato sovrano, l’Iraq, basata sulle menzogne e la distruzione del pilastro baathista, che ha contribuito alla nascita del sedicente Stato Islamico (Isis), il supporto dei terroristi islamici in Siria e la destabilizzazione del Paese, l’invasione della Libia, legittimata da nuove bugie relative alla tutela della popolazione civile dal dittatore Muammar Gheddafi. Una strategia basata sulla hybris occidentale, sul mito dello sceriffo che porta il bene nel mondo, un’azione delirante che non si è posta neanche per un momento il problema delle conseguenze dei propri interventi. Ops, hanno sbagliato i calcoli! E ora l’Afghanistan è in mano ai talebani, l’Iraq è un Paese devastato nel quale l’influenza iraniana guadagna peso, in Siria Bashar al-Assad è saldo al potere e la Libia è uno Stato fallito con ricadute atroci in termini di sicurezza e immigrazione sull’Europa.

L’ipocrisia del Nord del mondo
Anche in Medio Oriente trionfa l’ala dura, la repressione spietata, la violenza di Stato, la continuazione dei soprusi a cui rispondono le azioni terroristiche di Hamas.

Del resto, nel 2002, l’allora premier israeliano Ariel Sharon aveva già scatenato l’offensiva contro Gaza arrivando a porre sotto assedio l’Autorità nazionale palestinese a Ramallah. Per quegli imprevisti della storia fu George Bush Jr che riprese l’iniziativa di pace in Medio Oriente affidando al quartetto Onu, Ue, Russia e Usa lo studio di una nuova soluzione dei due Stati. Essa fu resa impossibile da Israele che si rifiutò di collaborare. Gli insediamenti continuavano all’interno della Cisgiordania che fu spaccata in due dalla costruzione di un muro di cui l’85 per cento restava all’interno dei Territori occupati. È vero, ci fu il ritiro di Sharon da Gaza nel 2005. Il territorio doveva essere consegnato di fatto all’Anp. Come abbiamo detto, le elezioni di Hamas nel 2006 al Parlamento palestinese scombussolò le carte di un Occidente impreparato. La guerra fratricida con Al Fatah vide la vittoria di Hamas che occupò Gaza e spinse l’Anp in Cisgiordania in una soggezione della potenza occupante in grado di privarla di ogni credibilità politica.

Abu Mazen, temendo le elezioni, nel 2009 decise di prorogare sine die il proprio mandato e rimase l’unico rappresentante della Palestina riconosciuto dalla cosiddetta Comunità internazionale.  

La tragedia dei palestinesi non cessa. Le loro condizioni a Gaza e in Cisgiordania si aggravano. Hamas di tanto in tanto lancia missili che fortunatamente sono inefficaci, qualche volta riesce a prendere degli ostaggi israeliani, a ucciderne qualcuno. La rappresaglia di Israele fa tremare i palestinesi e disgusta chi nell’opinione pubblica ha a cuore le vite umane di tutti senza schieramenti ideologici e disumani. Nel dicembre del 2008, l’operazione Piombo Fuso si trasforma in una strage di innocenti con più di 1.400 morti. Nel 2014 una nuova operazione militare israeliana porta a 4.500 morti di cui più di 1.500 bambini. L’opinione pubblica piagnucola, proclama inutili appelli ma gli Stati Uniti e l’Europa si guardano bene dal condannare Israele. Si ripete fino all’esaurimento che Tel Aviv ha il diritto di difendersi. L’ipocrisia, i doppi pesi e le doppie misure sono sotto gli occhi del resto del mondo che ci disprezza.

La tragica normalizzazione
Le elezioni di Obama nel 2008 non cambiano questo stato di cose. Il nuovo Presidente ha una bella retorica ma conserva l’ambiguità nell’azione. Le sue implorazioni a Benjamin Netanyahu di far cessare le attività illegali dei coloni in Cisgiordania lo ridicolizzano in quanto allo scontato rifiuto di Israele non oppone nulla. Eppure gli Stati Uniti e l’Europa avrebbero importanti leve politiche, economiche e militari per condizionare l’operato di Tel Aviv. Nel 2016, la nuova risoluzione dell’Onu disapplicata e non rispettata da Israele è possibile grazie all’astensione di Obama. Condanna l’espansione degli insediamenti. Non si riconoscono i confini dello Stato di Israele conquistati con la forza. Nulla cambia. Tel Aviv continua le sue attività illegali. Le sofferenze dei palestinesi a Gaza, la loro miseria, la loro vita di stenti, la mancanza di libertà di circolazione, la violenza come solo possibile alfabeto vengono ignorate dalle classi dirigenti europee. L’apartheid sofferto dai palestinesi in Cisgiordania rimane inesistente per la stampa nostrana occupata da ben altro: l’espansione della Nato, il colpo di Stato a Maidan square, la difesa della democrazia ucraina. 

Nel 2012, con l’appoggio di 138 Stati, Abu Mazen ottiene l’accettazione all’Onu come “Stato non Membro” e non come entità. Israele e gli americani votano contro. Gli umori dell’Assemblea Generale dell’Onu sono importanti per recepire come la posizione dell’Occidente cominci a essere isolata nella giungla che assedia il nostro giardino.

La nostra diplomazia decide allora di inventarsi una normalizzazione della tragica realtà del Medio Oriente con un’operazione cosmetica. I nodi della pace e la causa del martoriato popolo palestinese sono messi in un angolo. Attraverso gli accordi di Israele con i Paesi arabi, intese di cooperazione economica, lo status quo può essere salvaguardato. Si prepara inoltre in questo modo l’isolamento dell’Iran, Stato canaglia a cui vengono imputati i crimini atroci contro le donne mentre si chiude un occhio sul terribile regime dell’Arabia Saudita. 

La violenza tuttavia genera violenza. Il sangue non si cancella con una diplomazia vuota di sostanza e non in grado di individuare le vere cause delle guerre.

Il 7 ottobre scorso purtroppo ci sarà un orribile risveglio. La barbarie di Hamas colpirà la società civile ebraica, la gioventù, vittime del terrorismo e della cecità occidentale.

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