Israele e la guerra di Gaza. Fermare il massacro
La scorsa settimana ho seguito con raccapriccio le cronache che hanno raccontato l’orribile morte del piccolo Francesco Pio, 13 mesi, sbranato da due pitbull nella campagna di Eboli. Ho immagino il terrore del piccolo strappato dalle braccia dello zio e l’inutile tentativo della madre di sottrarlo ai cani. Ho avvertito sulla mia pelle lo strazio delle sue tenere carni e il terrore che quel piccolo angelo avrò provato spirando a causa delle terribili ferite inferte dalle mascelle degli animali addestrati al combattimento, mi chiedo: quando verranno proibite anche in Italia le razze aggressive come è avvenuto in Uk.
Il volto sconosciuto della piccola vittima ha preso le fattezze o del mio nipotino più piccolo, all’incirca suo coetaneo, e ho provato una nauseante vertigine immaginando cosa avrei provato se fosse toccato a lui quella sorte atroce. Poi mi sono sovvenute le immagini di tanti altri bambini ghermiti da morte violenta, assurda. Ho rivisto i tanti, troppi bambini di Gaza straziati dalle bombe israeliane, i loro corpicini fasciati nelle lenzuola bianche, la disperazione delle madri e dei padri accasciati sulle loro spoglie. Sono terroristi quegli infanti? Minacciano la sicurezza di Israele? Le loro vite valgono meno di quelle dei bambini israeliani il 7 ottobre strappati con la violenza dai kibbutzs dalle mani assassine dei terroristi di Hamas? Qualcuno mi può rispondere? Non si tratta più di guerra o di politica. Si tratta di Umanità. Si tratta di far terminare subito la strage degli innocenti che da sei mesi insanguina la striscia di Gaza. Subito. Basta!
Non mi interessa buttarla in politica, né spartire i torti e le ragioni dell’una e dell’altra parte in conflitto. Do per scontato che si conosca il background storico, vecchio ormai di oltre 70 anni, che ha innescato la tragedia nella striscia di terra fra il fiume Giordano e il mare. Non attribuisco in questa sede patenti di legittimità alle parti in conflitto, la tragedia che va consumandosi trascende qualunque giudizio di natura politica. E’, appunto, una tragedia della disumanità, un possibile genocidio (così lo ha definito la Corte Penale Internazionale) che ci riporta indietro ad epoche che credevamo, ingenuamente, di aver seppellito per sempre sotto i tumuli della Storia. Oltre 35mila vittime, per lo più civili e in maggioranza donne e bambini (sono stimati in 15mila i morti sotto i 14 anni), 16mila orfani di guerra – se di guerra si può parlare in termini tecnici vista la disparità delle forze impiegate – e altrettanti minorenni rimasti irrimediabilmente mutilati. Tutto questo in nome della “sicurezza” di Israele. Minacciata dalle bande di terroristi di varia natura ed estrazione religiosa (sciiti, sunniti, integralisti islamici, ecc) che cinicamente si servono del popolo di Gaza per condurre la loro guerra di “liberazione” della Palestina. La risposta israeliana trascende ogni forma di difesa. Tracima nella vendetta indiscriminata e feroce. Ripeto, non intendo addentrami in valutazioni politiche, sebbene anche questa guerra infinita sia una forma, degradata e infima, di “politica” condotta, direbbe Klausewitz, come prosecuzione in altra forma della politica.
Siamo di fronte ad una strage, alla eliminazione scientemente e indiscriminatamente condotta ai danni di un popolo prigioniero negli angusti confini di una terra diventata un cimitero, di carni straziate e di macerie. I raid israeliani proseguono ogni giorno, senza sosta. Netanyahu ha appena annunciato che l’esercito israeliano farà irruzione a Rafah, “accordo raggiunto oppure no” per il cessate il fuoco a tempo determinato e la restituzione degli ostaggi in cambio di un numero ancora imprecisato di prigionieri palestinesi. La linea rossa tracciata da Biden (No all’operazione a Rafa) si è rivelata l’ennesimo bluff. Israele non sente ragioni, sicura che anche l’America alla fine si piegherà. Biden si sta giocando la rielezione alla Casa Bianca sulle rive del Giordano e in Ucraina. Si preannuncia dunque l’ennesima strage di civili, nel Sud della Striscia di Gaza è ammassato un milione e mezzo di persone (in gran parte profughi) in un territorio di appena 61 chilometri quadrati. Una prigione a cielo aperto, indifesa e indifendibile dall’ira biblica scatenata dall’ IDF. “Fino alla vittoria finale”, bercia Netanhyau, indifferente alle oceaniche manifestazioni di piazza che ne invocano le dimissioni e reclamano azioni per arrivare al rilascio degli ostaggi.
Gli Stati Uniti da decenni sanzionano nazioni e regimi non allineati alla loro politica. Su Russia e Iran sono cadute le scuri di sanzioni economiche che non hanno scosso l’economia russa n intaccato il potere dittatoriale di Putin, per gli Ayatollah la stretta si scaricherà sulla popolazione. Mi permetto una domanda. Nessuno pensa di sanzionare Israele per la carneficina che sta perpetrando a Gaza? A contrario la si rifornisce di armi e quattrini per proseguire nel sangue la pulizia di Gaza dai terroristi.
Quanti morti ancora dovremo contare? Netanyhau non ascolta la voce della ragione e persegue ostinatamente la politica della distruzione sistematica in nome dell’obiettivo di cancellare Hamas. Mission impossible, questa insensata guerra condotta in termini biblici (ma si è arrivati ben oltre l’occhio occhio, dente per dente) ha aperto ferite insanabili, rinfocolerà l’odio ancestrale dei palestinesi e di una ampia fetta del mondo nei confronti dello stato di Israele. Lo dimostrano le ondate di antisemitismo che si sono alzate in America e in Europa. Netanyhau i suoi complici assumono una enorme responsabilità di fronte alla Storia e al loro popolo. L’invocata sicurezza di Israele negli anni a venire sarà messa a repentaglio ancora ed ancora, la radicalizzazione sarà il mantra degli estremisti palestinesi sotto le cui bandiere accorreranno legioni di giovani scampati alla carneficina di Gaza e dalla colonizzazione violenta di Israele in Cisgiordania. La corte Penale Internazionale si appresta ad emettere provvedimenti di arresto nei confronti del leader israeliano, del ministro della difesa e del comandante delle forze armate. L’accusa, aver scientemente ridotto alla fame la popolazione di Gaza. Sarà un gesto simbolico. Né Usa – il grande protettore dello stato ebraico – né israele riconoscono l’autorità della CPI.
Concludo riportando quanto mesi fa mi disse il mio amico Moni Ovadia, ebreo laico e strenuo oppositore della politica repressiva dello Stato di Israele. RIassumo: “Nella Bibbia si dice con chiarezza inequivocabile che gli ebrei non dovranno possedere la terra e che non avranno bisogno di uno Stato. Dovranno seguire la legge del Signore e ubbidire alla sua parola”. Ho ascoltato Paolo Mieli dire a La7 che chi si dichiara antisionista nega il diritto all’esistenza dello Stato di Israele. E’ precisamente quanto impongono le Scritture. Difatti gli ebrei ultraortodossi (da non confondere con i movimenti e i partiti ultrareligiosi che impongono la linea dura al governo Netanyhau) in osservanza alla Bibbia rifiutano l’idea dello Stato di Israele. Chi avesse seguito su Netflix la serie “Unorthodox” comprenderà ciò a cui mi riferisco.