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Io, che a 37 anni cerco ancora un posto nel mondo

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L’ansia di non arrivare a fine mese. La voglia di affermarsi ma anche il bisogno del tempo per sé. La paura di sentirsi soli. E la disillusione per le ingiustizie sociali. A questa età non mi sento mai abbastanza adulta. Eppure conservo la speranza nel domani

«Siamo un campo di grano maturo, a trent’anni, non più acerbi e non ancora secchi: la linfa scorre in noi con la pressione giusta, gonfia di vita. È viva ogni nostra gioia, è viva ogni nostra pena, si ride e si piange come non ci riuscirà mai più, si pensa e si capisce come non ci riuscirà mai più. Abbiamo raggiunto la cima della montagna e tutto è chiaro là in cima: la strada per cui siamo saliti, la strada per cui scenderemo». Probabilmente Oriana Fallaci a 30 anni aveva le idee molto più chiare di quanto le avessi io. Sono passati quasi 7 anni da quando, varcando la soglia dei 30, provavo a trovare la mia strada, facendomi forza anche con parole audaci come queste.

Probabilmente è vero che entrando in questa età tutto comincia a farsi più chiaro. Almeno i nostri desideri, le nostre speranze, le nostre volontà. Eppure la strada sembra ancora lunga. Difficile fare un discorso generazionale. Chi come me è nato negli anni Ottanta credo abbia vissuto così tanti cambiamenti sociali, economici e storici che avrà un percorso così singolare da non somigliare a nessun altro. Posso dunque raccontare solo dei miei 37 anni al mondo d’oggi. Un mondo che a questa età mette ansia, rabbia ma anche speranza. Ci si sente adulti ma non sempre. E mai abbastanza. L’entusiasmo bussa sovente dentro le tasche, ma sono molti i moti di paura e irrequietudine. Il primo forse riguarda la consapevolezza di una vera data di scadenza per l’umanità, una natura di cui abbiamo abusato e che ora, non un domani indecifrabile, ci presenta il conto. E credo che la maggiore ansia nasca dall’osservare l’indolenza delle generazioni che ci governano e che decidono le sorti del mondo e dunque le nostre e dei nostri figli per gli anni a venire.

C’è ansia per il mutuo o l’affitto da pagare, per lo stipendio che non arriva, per le bollette e quei soldi che a metà del mese non sai nemmeno tu come siano già finiti. C’è ansia per il tempo che passa, per la voglia di affermarsi, fare un lavoro che ci soddisfi e continuare ad avere una vita sociale. C’è ansia di dimostrare che non siamo scansafatiche né “fannulloni”. L’ansia di avere dei figli, di preservare ciò che siamo e tenere tutto in ballo come giocolieri. C’è ansia e consapevolezza che il tempo per tutto è poco, che la vita non è solo lavoro ma che con un lavoro qualunque non riusciremmo a dirci felici. C’è la voglia di dedicare il tempo alle cose e alle persone giuste. C’è la sensazione che molti legami siano futili come le amicizie su Facebook. C’è la paura di sentirsi soli come le confezioni singole al supermercato. C’è la solitudine di incontri sempre uguali con le persone “sfogliate” su Tinder.

C’è l’incontro – forse troppo precoce – con la malattia e la morte. E in questo il Covid ci ha dato sicuramente una bella stoccata. La caducità delle cose e del tempo che ci ha rimesso per poco coi piedi per terra e che ci rende un po’ timorosi verso il prossimo e meno sicuri delle nostre capacità. C’è disillusione e un po’ di rabbia sociale. Quella che ancora ci porta a protestare (poco) per le ingiustizie che viviamo, per i torti subiti, per un po’ di equità. In questo credo, con ottimismo, le generazioni venute dopo la mia siano decisamente più brave. Più forti e consapevoli.

Ci sono distanze incolmabili con i familiari, tutti in luoghi diversi in cerca di un proprio posto nel mondo. E poi ci sono le cadute, le crisi di panico, la voglia di sentirsi forti e spensierati. Ma ci sono anche le nuove famiglie, quelle fatte di amici, i legami che non si spezzano. Ci sono i talenti, le persone che si impegnano per costruire ponti e quelle che ti fanno sentire viva investendo energie e speranze in sogni ambiziosi. Come aprire una libreria, insegnare ai bambini, salvare un albero, studiare per pulire il mare, l’aria e la terra. Insomma c’è il seme della speranza che tutto sommato è lo stesso che ancora ci porta a desiderare dei figli e a credere che un mondo sia possibile anche per loro.

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