L’intervista impossibile al Coronavirus: tutte le domande che vorreste fare al Covid-19 (e le sue risposte) | Fiction
Un colloquio assolutamente immaginario col Covid-19
L’intervista impossibile al Coronavirus: tutte le domande che vorreste fare al Covid-19 (e le sue risposte) | Fiction
È ragionevole descrivere qualsiasi cosa che esiste realmente per mezzo di un’altra che non esiste
Daniel Dr Foe, prefazione a Robinson Crusoe
Non è stato facile intervistarlo. Non è stato facile perché in questo periodo viaggia in continuazione in tutte le parti del mondo, tranne l’Antartide (“Per ora…”, mi dirà tra breve), ma alla fine sono riuscito a farmi concedere un’intervista da SarsCoV-19, seppure per un tempo limitato, nella hall dell’aeroporto di Fiumicino prima che si imbarcasse per Atene.
Lo trovo seduto comodamente, gambe accavallate, vestito con un’elegante giacca blazer un po’ sgualcita e portata con disinvoltura. È alto e slanciato, con lunghe mani affusolate e sempre in rapinoso e preoccupante movimento. Unica concessione alla sua improvvisa fama i capelli irti e gelatinati sui quali intravvedo delle minutissime e buffe sferette tonde che gli danno un’aria bizzarra, in contrasto con tutto il resto. Lo saluto da lontano ma lui stesso non mi porge la lunga mano: “Evitiamo” mi dice con ironico sorriso “Voi umani in questo periodo siete un po’ pericolosi”.
“Faccia come vuole” risponde con la sua aria un po’ fané “si figuri che i miei colleghi negli ultimi tempi mi hanno soprannominato hop on, per la mia abilità a saltare da un organismo all’altro”.
“Guardi, partirò da un importante meeting che abbiamo avuto qualche tempo fa. Sa, noi virus ogni tanto ci vediamo per riorganizzarci nella distribuzione dei compiti. Negli ultimi tempi noi Corona abbiamo avuto bei successi, guardi il caso del mio cugino Sars nell’epidemia di qualche anno fa. All’incontro c’erano personaggi divenuti famosi: per esempio, c’era i quattro gemellini del dengue che tanto sta facendo in Sudamerica con il solito trasporto delle zanzare e il celebrato Ebola, la cui fama, se mi permette è un po’ usurpata: a mio modesto avviso è un cretino (ma, per favore, questo non lo scriva). È irruento, smodato: infetta un ospite senza ritegno facendolo morire in breve tempo nella maggioranza dei casi (e se ne vanta pure, lo stolto), cosicché non riesce più a infettare niente e nessuno e dopo un po’ è costretto a ricominciare da capo. Noi Corona siamo più saggi e prudenti: sappiamo bene che la nostra esistenza dipende dalla comunità dei nostri ospiti e stiamo attenti a non fare tali sfracelli, evitando di ‘spargere troppo sangue’ e così: hop on, hop off. Ma torniamo al nostro incontro: a sorpresa di tutti ho confermato che stavo bene dove stavo, tra i miei pipistrelli: a suo tempo me li ero scelti con cura. Innanzitutto sono mammiferi e hanno un bel sistema respiratorio, poi vivono appicciati l’uno all’altro e il passaggio da l’uno all’altro è un gioco da ragazzi. Del resto siamo in parecchi a scegliere questi simpatici mammiferi. E così mi sono accomodato tra questi animaletti in una grotta dello Yunnan, in Cina”.
“Come saprà noi virus siamo vulcanici, sempre pronti a novità genetiche, a improvvise performance proteiche. La colpa è il fatto che noi Corona, come altri, siamo virus con codice genetico a Rna, e non a Dna: quando l’Rna si replica si sbaglia moto più del Dna. Pasticcione lei dirà; sarà pur vero ma cambiando e ricambiando qualcosa di buono viene fuori. E il pipistrello è una bella palestra: non si ammala più di tanto e non ci dà fastidio con il suo sistema immunitario e così abbiamo il tempo di provare nuovi e nuovi ‘travestimenti’ per così dire. Così un giorno mi sveglio e cosa mi ritrovo? Una nuova appendice. La vuole vedere?”
“Ovviamente no: quel trampolino di lancio verso voi umani l’aveva già sperimentato mio cugino Sars nel 2003 e uno, naturalmente, ci spera, sempre”.
“Hop on, hop off. Ricorda? Ho fatto una specie di doppio salto mortale: dal pipistrello a un’altra specie fino ad atterrare da voi”.
“Mi permetta di dire il peccato ma non il peccatore. Questione di privacy direste voi umani”.
Mi guarda per un po’ in silenzio e con fare interrogativo con i suoi penetranti occhi grigi dal taglio un po’ orientale. E poi risponde perdendo per la prima volta il suo sereno e ricercato aplomb.
“Ma come fa a non capire? Anzi, c-o-m-e f-a-t-e a non capire (scandisce come farebbe un insegnante esasperato dai propri studenti un po’ ottusi). Vorrebbe forse che me ne stia tra gli elefanti? Certo hanno poderosi polmoni e lì ci sarebbe un bello spazio. Ma quanti sono? Qualche migliaio? E come si spostano? Qualche chilometro al giorno? Ragioni un po’: ho a disposizione, anzi abbiamo perché c’è un bella fila di noi che aspetta, una specie che vive in prevalenza ammassata in zone relativamente ristrette, ma che sta un po’ dappertutto, che ha un’intensa attività di comunicazione orale – e questo per me è importante perché è dalla bocca e dal naso che devo passare –, con le mani libere e continuamente in movimento. E che si muove in continuazione facendo migliaia di chilometri in poche ore: io sto in Cina giovedì e, oplà, la sera stessa mi ritrovo a Oslo tra le mani di un tassista. E poi, last but non least (mi sembra che usi il linguaggio forbito più per prendermi in giro che per impressionarmi, ndr) voi allevate tanti animali, soprattutto mammiferi e uccelli. Sa quanti di noi si sono dilettati in questo sfizioso salto di specie? Quasi 200! E non tutti hanno dovuto penare come il grande HIV che ha dovuto aspettare anni rintanato nelle foreste prima di passare dalle scimmie all’uomo. E questi animali li mangiate a sazietà, a volte non propriamente ben cotti». E aggiunge, con un elegante svolazzo delle grandi mani «A me come ben sa a me il troppo caldo infastidisce. Insomma dovrei essere proprio fesso per non pensarci e non prendere l’occasione al volo”.
“Ora vien fuori che è tutta colpa mia. Ma mi faccia un piacere, come diceva un vostro grande comico. Guardi che io sono…tenerello (e mentre lo dice sorride nuovamente a bocca stretta in un modo che non capisci quanto dica la verità e quanto ti sfotta). A me basta un po’ di sapone per mandarmi in crisi. E poi quella vostra varechina così puzzolente. Per me è insopportabile. Solo che, onestamente e statisticamente oserei dire, approfitto delle occasioni: in una città con 11 milioni di abitanti quante mani in cui io sono adagiato (voi dite sporche, mah) si toccano tra loro in una metropolitana? Mi scusi, ma l’occasione è troppo ghiotta e io la colgo. Secondo me lei farebbe lo stesso”.
Mah, io mi occupo di altro e non passo il tempo a zompare da una mano all’altra. (Da un brevissimo e cattivo lampo negli occhi grigi capisco che non ha apprezzato la battuta). Ma, al dunque, molti suoi parenti, come quello dell’influenza annuale, convivono con noi da molto tempo. Sì, causano anche molti morti – forse più di quelli che sta causando lei, ma abbiamo imparato a conviverci. Si piazzano tra la trachea e i bronchi e lì rimangono. Invece lei: giù giù verso i polmoni, senza rimedio.
“Ma non possiamo fare tutti le stesse cose (risponde riprendendo la sua affettata cortesia). “E poi questa nuova protuberanza proteica (e di nuovo qualcosa si muove sotto la giacca…, ndr) mica la scelgo io: si forma da sé, in una delle numerose trasformazioni di cui vado fiero. E ancora non è colpa mia se a questa protuberanza piacciono tanto i recettori delle vostre cellule del polmone. Lì io vado a finire , lì mi ci attacco, lì mi replico. Elementare non trova?”.
“E che è tutta colpa mia?”, risponde in un modo un po’ tranchant che contrasta con il suo blazer e con l’aria da signore che vorrebbe comunicare. In ogni caso è visibilmente contrariato. “Il sistema immunitario dei pipistrelli non fa la cagnara come fa il vostro quando mi incontra. Voi riversate su di me una cascata variopinta di cellule dell’immunità, attratte ed eccitate dalla novità del personaggio. E alla fine fanno confusione: si spintonano l’una con l’altra, sollecitano un’infiammazione smodata a volte letale. Fosse per me le farei stare più calme, Capirà, io ho bisogno di replicarmi e non mi servono cellule morte. Ma loro non sentono ragioni”.
“Ah, e così che si deve fare. Solo non dovessi prendere l’aereo per Atene…tre tutti insieme vicini vicini”. mormora con qualche disappunto. E aggiunge riprendendo il discorso: “La consideri una corretta battaglia che ha le sue regole ma anche i suoi ampi margini legati al caso e all’occasione”.
“So che questo è un nostro limite – risponde con voce sorprendentemente pacata – Direi invalicabile. Del resto anche i funghi, che a voi piacciono tanto, sono così. Si tratta, in fondo, di una scelta di vita. In qualche modo non possiamo fare a meno di voi. (E qui di nuovo ridacchia tra sé. Poi si ferma un attimo, si fa più serio e riprende con un tono che non ammette repliche) Ma mi scusi, da quando lei è sulla Terra, intendo lei come essere umano?”.
“Perché noi siamo qui da quasi mezzo miliardo di anni. Non io, naturalmente ma i miei antenati retrovirus che, per il resto, ancora stanno in giro come il caro hiv. E sa che hanno fatto in tutto questo tempo? Mica sono stati ad aspettare voi. Hanno mutato, mutato in continuazione sperimentando e inventando nuove forme di vita. E quando avete cominciato ad affacciarvi sulla faccia della Terra, vi hanno anche dato una mano, anzi un genoma”.
“Non esagero, non esagero. Intanto alcuni di noi si impegnano a spazzare via batteri petulanti che vi potrebbero dare fastidio. Sono i nostri gruppi speciali, i batteriofagi. E Poi vi abbiamo dato tante belle sequenze genetiche che vi siete incorporati strada evolvendo e che vi sono molto utili per la vostra complicata vita. Solo che ve lo siete dimenticato”.
A questo punto si alza. “Mi spiace, devo andare, ma spero sia stata una conversazione interessante”.
Si allontana di qualche passo ma poi torna indietro pensieroso. “Posso darvi un consiglio, da essere quasi vivente semplice semplice?”. E prosegue “Non esagerate, anzi non continuate a esagerare. È quello che vi frega: troppo e troppo in fretta. Siete qui da poco, praticamente da qualche minuto se la vita fosse cominciata dalla mezzanotte di oggi. Vi dovete adattare senza cercare di adattare tutto a voi. Come avrà visto noi lavoriamo con quello che c’è. Voi avete la capacità di costruire anche quello che non c’è. Siete bravi. Ma siate prudenti, più prudenti. Se scommettessimo su chi tra noi due ci sarà sulla faccia della Terra tra altri cento milioni di ani su chi punterebbe?”.
Non rispondo e lo saluto con un cenno. Lui sorride sempre alla sua maniera e si allontana dicendo “Alla prossima!”.
“Epidemia, naturalmente”. Poi agitando la lunga mano e guardandomi ancora si corregge “Naturalmente scherzavo!”.
L’intervista impossibile di Andrea Turchi è stata pubblicata sul sito Educationduepuntozero.it e riportata su TPI con il consenso dell’autore.
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