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L’informazione è il motore di una nuova politica

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Davide Casaleggio. Credit: AGF

L'intervento su TPI di Davide Casaleggio, fondatore dell'Associazione Rousseau e autore del libro "Gli algoritmi del potere. Come l’intelligenza artificiale riscriverà la politica e la società" (ChiareLettere)

Julian Assange dopo 14 anni di detenzione cautelare, dei quali 5 in un carcere di massima sicurezza, è finalmente libero. Il suo crimine: aver fatto il lavoro di giornalista meglio di chiunque altro. A poco è valso che anche l’Onu si fosse pronunciata sulla sua detenzione descrivendola come illegale: si è dovuti arrivare alla firma di un documento in cui lui stesso dichiarava di accettare che la pena scontata fosse lecita con la minaccia di rimanere in prigione per sempre.

La storia di Assange tuttavia non è una storia solo di giustizia al contrario. La sua creatura, Wikileaks, ha scosso dal profondo gli equilibri politici mondiali interpretando la nuova tecnologia digitale per fare informazione in un nuovo modo. Il fondatore di WikiLeaks ha spesso sottolineato il potere della verità di condizionare il corso degli eventi a livello globale.

La guerra in Iraq è in questo senso un caso emblematico: la falsa notizia (una delle bufale più clamorose degli ultimi decenni) secondo la quale Saddam Hussein sarebbe stato in possesso di armi di distruzione di massa condusse a una guerra disastrosa; di contro, le informazioni sull’andamento e sulle modalità del conflitto accesero un faro di consapevolezza a livello globale.

Assange fu protagonista nella diffusione di queste informazioni, in particolare con la pubblicazione nel 2010 del video Collateral Murder che mostrava soldati statunitensi che sparavano su civili inermi. Questo e molti altri documenti scossero l’opinione pubblica mondiale che chiese a gran voce la fine delle ostilità.

WikiLeaks era nata nel 2006, ma acquisì notorietà in quel 2010 con la pubblicazione di una mole enorme di cablogrammi e documenti riservati del governo americano. WikiLeaks è forse l’esempio più tangibile a livello internazionale di come nuovi modi di fare informazione possano portare a prospettive inedite da cui interpretare la politica e parteciparvi.

Le Primavere arabe, iniziative come Occupy Wall Street, i movimenti di protesta in Spagna e molte altre dimostrazioni popolari di dissenso nel mondo partirono tutte dalla consapevolezza e dall’indignazione mosse da questa unica iniziativa.

WikiLeaks rappresentò un modello per il giornalismo investigativo nell’era digitale, mostrando come le piattaforme online potessero essere utilizzate per aggirare i canali tradizionali e raggiungere un pubblico globale. Ma soprattutto avere un impatto politico reale.

La Primavera araba partì dalla Tunisia, Wikileaks fu alla base dell’innesco di quella protesta. Alla fine del 2010 infatti scoppiò una sommossa popolare in seguito all’autoimmolazione di Mohamed Bouazizi, un venditore ambulante che si era dato fuoco perché, non avendo più soldi per corrompere la polizia locale, questa non gli permetteva più di vendere dal suo carretto. Le persone si organizzarono subito per protestare contro la corruzione e l’aumento della disoccupazione.

Un mese dopo Zine Ben Ali, che aveva governato per qualche tempo il Paese, si dimise. Anche in questo caso Internet fu essenziale per creare il contesto e le basi della protesta, poiché un paio di settimane prima che Bouazizi si desse fuoco WikiLeaks aveva pubblicato documenti riservati trapelati dalla Tunisia che dimostravano la diffusa corruzione in quel Paese. Li aveva poi ripresi e ridistribuiti TuniLeaks, accessibile su Nawaat.org, un blog fondato da due tunisini fuggiti all’estero negli anni Novanta e divenuto poi punto di coordinamento e visibilità della successiva protesta.

Le proteste successive nel Nord Africa presero piede grazie a questo primo movimento tunisino. Sempre alla fine del 2010, in Egitto iniziò infatti la protesta indignata per la morte di un ragazzo mentre era in custodia di polizia. Il responsabile marketing di Google per il Medio Oriente e il Nord Africa residente in Egitto, Wael Ghonim, aveva creato in forma anonima una pagina Facebook per esprimere la sua indignazione. L’aveva intitolata con il nome del ragazzo morto: «We are all Khaled Said». Radunò in pochissimo tempo un milione di follower. Poiché proprio in quei giorni, in Tunisia, il presidente Ben Ali stava fuggendo dal Paese dopo le insurrezioni popolari.

Ho avuto la fortuna di parlare lungamente con Wael Ghonim che mi disse che al tempo pensò che la stessa cosa sarebbe potuta accadere anche in Egitto con il presidente Hosni Mubarak, quindi decise di indire una grande protesta di piazza per dieci giorni dopo, il 25 gennaio 2011, ricorrenza della festa nazionale della polizia, per cui certamente le forze dell’ordine sarebbero state per la maggior parte assenti dalle strade.

L’invito alla «Rivoluzione del popolo egiziano» (Thawrat Shaab Misr) raggiunse tramite Facebook oltre un milione di persone, di cui 100.000 dichiararono di voler partecipare. Anche in quel caso i dimostranti riuscirono a organizzarsi e a vedersi come un movimento, creando la consapevolezza di non essere gli unici a pensarla in un certo modo. Il giorno dell’evento le piazze erano piene di persone che avevano organizzato il raduno rimanendo sotto il radar del governo egiziano dell’epoca.

Il regime rispose bloccando Internet e arrestando Ghonim. La piazza però ne chiese la liberazione, che avvenne undici giorni dopo, quasi contemporaneamente alle dimissioni di Mubarak, fino ad allora alla guida dell’Egitto.

Wikileaks con la sua informazione libera ha alimentato le scintille di indignazione anche negli Stati Uniti, che a loro volta hanno acceso gli animi nel resto del mondo. Come nel 2011, quando, pochi mesi dopo le proteste di piazza in Egitto, negli Stati Uniti scoppiò una contestazione contro le disuguaglianze e l’accentramento del potere nelle mani di poche multinazionali che lo esercitavano per influenzare la democrazia. La rabbia popolare era accresciuta dalla constatazione che non c’erano state conseguenze legali per la cattiva gestione che aveva portato alla crisi finanziaria del 2008.

Tutto partì da un’idea sul sito WikiLeaks Central, rilanciata da un gruppo legato alla rivista anticonsumista canadese Adbusters che mobilitò le persone tramite Facebook, Twitter, Irc e Meetup per una manifestazione pacifica a Wall Street. Fin dall’inizio affermarono di voler seguire l’esempio della protesta egiziana, che a sua volta, come abbiamo visto, prendeva spunto da quella tunisina.

La protesta iniziò a New York allo Zuccotti Park – vicino al cuore finanziario della città e del mondo, da cui il nome «Occupy Wall Street» dato al movimento –, ma presto si estese a livello internazionale generando manifestazioni come quella del 15 ottobre 2001, che si svolse in oltre 790 città distribuite in 71 Paesi, con il motto «We are the 99%», riferito al fatto che il benessere era concentrato nelle mani dell’1 per cento della popolazione.

Davide Casaleggio è autore di “Gli algoritmi del potere. Come l’intelligenza artificiale riscriverà la politica e la società” (ChiareLettere), un saggio che indaga come l’Intelligenza Artificiale stia riscrivendo le regole della società, trasformando radicalmente il nostro modo di essere e lavorare ma anche, e soprattutto, il nostro modo di essere cittadini e condizionare le strutture di potere

Nel 2013 invitammo Assange a collegarsi al nostro evento annuale di piazza, ma all’ultimo non riuscì a intervenire per non meglio chiariti motivi di sicurezza. Nello stesso anno una delegazione di parlamentari gli fece visita nell’ambasciata ecuadoriana dove era allora confinato. In seguito, nel 2016, il fondatore di WikiLeaks riuscì a essere presente al nostro grande evento di piazza a Palermo e condivise con noi quale fosse, a suo avviso, la responsabilità dei giornalisti: salvare o sacrificare vite, decidendo se scrivere il vero o il falso sulle guerre in corso.

Una consapevolezza che ho acquisito nel tempo è il fatto che tutti i nuovi movimenti popolari si basano su informazioni non filtrate. È infatti l’informazione senza meccanismi di censura in Rete che crea l’indignazione popolare su cui marcia la maggior parte dei movimenti politici di resistenza allo status quo del potere.

Le forme di mobilitazione delle persone che hanno colto di sorpresa i regimi nella storia si sono quasi sempre appoggiate a nuove forme di comunicazione, come sono stati i social media nei tempi recenti. Questo ha fatto sì che spesso il potere costituito abbia preferito attaccare lo strumento piuttosto che concentrarsi sulle ragioni della protesta.

Ogni epoca ha creato le condizioni per la nascita dei movimenti. La diversità di questi movimenti nella storia è dovuta principalmente al fatto che ciascuno di essi ha sfruttato i nuovi media emergenti non ancora controllati dal potere costituito.

Tutti avevano in comune una società indebolita, il sogno di un cambiamento immediato, una condizione di vita rapidamente trasformata per molte persone in peggio (o addirittura in meglio in alcuni casi) e l’indignazione per un evento concreto che come una scintilla accende una pronta terra. Non tutti però sono riusciti a superare la parte di protesta decretando le fasi successive.

Oggi si parla di Internet come di un nuovo mezzo, ma in passato si utilizzavano altri strumenti. Come le arene dei gladiatori che permisero a Spartaco e compagni di raccogliere il consenso e la popolarità necessari per guidare la rivolta degli schiavi contro Roma nel 70 a.C. Seguirono movimenti religiosi monoteisti che promettevano la salvezza dopo la morte utilizzando il pulpito per i cristiani, il minbar per i musulmani, la bimah per gli ebrei per diffondere il proprio verbo.

Successivamente hanno utilizzato anche il libro e non è un caso che negli ultimi 50 anni il libro più stampato con 4 miliardi di copie sia stato la Bibbia. Con l’invenzione della stampa, però, iniziarono movimenti di scissione anche nella religione. Lutero diede inizio al protestantesimo in Germania con le sue 95 tesi contro le indulgenze e la corruzione della Chiesa con un manifesto affisso sulla porta d’ingresso della chiesa del castello di Wittenberg ed esortava a leggere i testi sacri direttamente, senza intermediari.

Lo stesso avvenne in Inghilterra con il movimento del puritanesimo che spingeva la Chiesa a purificarsi da tutto ciò che non era previsto nelle Sacre Scritture. Il puritanesimo si fuse con il fenomeno della recinzione che vide migliaia di proprietari terrieri saccheggiare i mezzadri per trasformare i campi in pascoli, creando di fatto un esercito di contadini che finì per decapitare il re Carlo I.

Poi vennero i movimenti nazionalisti, uno dei meccanismi più duraturi di entusiasmo delle masse finora inventati. Usarono prima i giornali e poi la radio e il cinema per uniformare il senso di appartenenza alla nazione. Atatürk è riuscito a modernizzare la Turchia da un giorno all’altro grazie a un movimento nazionalista. La Prima Guerra Mondiale preparò anche il terreno per nuovi poveri e disperati per i movimenti bolscevichi, fascisti e nazisti.

Alla fine delle due guerre mondiali fu la musica a guidare una nuova rivoluzione culturale. All’improvviso tutti potevano permettersi la tv, l’auto e le vacanze al mare che non avevano mai avuto prima. Ma i figli di coloro che avevano combattuto le due guerre mondiali non volevano la tranquillità del divano: loro desideravano una nuova vita sulla strada. Ascoltavano i Beatles, i Rolling Stones, Bob Dylan e chiedevano la libertà sessuale e la pace nel mondo.

Oggi i movimenti mondiali grazie a Internet sono emersi ovunque. La prima ondata è stata scatenata dalla crisi finanziaria del 2007, che ha innescato numerose reazioni da parte di milioni di persone colpite dalla crisi, poiché è probabile che le battute d’arresto economiche dovute al Covid-19 preparino il terreno per una nuova ondata di movimenti nei prossimi anni.

In un decennio abbiamo avuto le Primavere arabe, che in pochi mesi hanno attraversato tutto il Nord Africa, movimenti per un’equa redistribuzione dei capitali come We Are 99% a New York o gli Indignados in Spagna e più recentemente movimenti per l’ambiente come Fridays for Future o quelli che combattono la violenza contro i neri come Black Lives Matter.

Oggi ci troviamo in una situazione simile di transizione verso un nuovo modo di gestire l’informazione con oggetti di Intelligenza Artificiale che sostituiranno non solo i mass media, ma anche i motori di ricerca e i social media che abbiamo visto comparire con la rivoluzione digitale. E ancora una volta l’unione di nuovi modi di comunicare, uniti a crisi economiche e belliche mondiali che stanno attraversando il mondo, porteranno a reinterpretare la partecipazione politica dal basso. Sperando di non dover avere troppi casi Assange, costretti al sacrificio per preparare la via per tutti gli altri.

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