La nuova Pax Americana: perché dall’Inflation Reduction Act dipende il futuro dell’Europa (di G. Gambino)
Alla vigilia del primo anniversario da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, il rapporto geopolitico e commerciale tra Usa e Ue è oggi quanto mai messo nuovamente in discussione dalle grandi cancellerie europee.
Dopo decenni di internazionalismo liberale, salvo la chiusura isolazionista sotto Trump (e nonostante la Brexit), i grand commis di Stato di Washington sono volati in Europa nel corso delle ultime settimane per comunicare ai loro omologhi europei che una nuova era deve avere inizio per quanto riguarda i rapporti di politica industriale e commerciale, mantenendo salda la già affrancata “cooperazione transatlantica”.
La legge con la quale gli americani vogliono mettere a segno questo nuovo grande balzo in avanti è l’Inflation Reduction Act (Ira), vale a dire una nuova e rinnovata politica industriale volta a sostenere una piena e completa transizione energetica, con un investimento di 369 miliardi di dollari.
Il tempismo della nuova legge, già votata al Congresso Usa nell’estate passata, è cruciale visti i dirompenti effetti del cambiamento climatico e tenuto conto della fragilità del mondo occidentale nel fare fronte alla crisi energetica dopo l’inasprimento delle sanzioni alla Russia, dal cui gas in larga parte l’Europa tutta ancora dipende.
L’Inflation Reduction Act ha l’enorme, e doverosa, ambizione di portare gli Stati Uniti al raggiungimento degli obiettivi climatici previsti dall’Accordo di Parigi, nel tentativo di instaurare «una serie più ampia di tecnologie energetiche pulite da diffondere a livello globale…
Gli oltre 369 miliardi di dollari investiti nel disegno di legge contribuiscono a far progredire soluzioni climatiche come l’energia eolica e solare, l’energia nucleare, la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica, l’energia geotermica e i combustibili a zero emissioni di carbonio e includono importanti disposizioni per ridurre le emissioni di metano». Il presidente statunitense Joe Biden l’ha definita «l’azione più significativa e aggressiva mai messa in atto… per affrontare la crisi climatica e rafforzare la nostra sicurezza economica ed energetica».
L’obiettivo? Una riduzione delle emissioni del 42 per cento (rispetto ai livelli del 2005) entro il 2030 e a una riduzione netta del deficit di 102 miliardi di dollari nel periodo 2022-2031. Il programma volto a ridurre le emissioni di metano per rallentare il riscaldamento globale prevede aiuti di stato per cospicui investimenti e sgravi fiscali in crediti d’imposta per le imprese in linea con la nuova politica industriale Usa.
Negli intenti di Washington parliamo di una vera rivoluzione. Un progetto volto a ridisegnare le politiche commerciali ed energetiche globali. E la geopolitica. In altre parole, è la vera risposta degli Stati Uniti all’invasione russa in Ucraina per ristabilire il nuovo ordine mondiale. Un tentativo di marcare la propria sfera d’influenza dettando le regole del gioco.
Quale ruolo avranno gli Stati membri dell’Unione europea alla luce di questa annunciata trasformazione epocale?
La subalternità europea agli Usa non è certo un fatto nuovo e accompagna l’Europa almeno dalla fine della Seconda guerra mondiale. Ma proprio in occasione dell’invasione russa in Ucraina, alcuni leader europei hanno iniziato a porsi alcune domande sulla effettività conciliabilità dei propri interessi con quelli americani.
La questione è precedente e non vincolata solamente all’Inflation Reduction Act. Il caso forse più emblematico ha riguardato la Germania, dove a fine 2022 il colosso della chimica Basf ha apertamente criticato il governo di Olaf Scholz perché incapace di tutelare gli interessi europei di fronte ai vantaggi commerciali ed energetici di cui godono le imprese americane. Lo stesso cancelliere tedesco ha instaurato una politica attendista nell’invio di armi a Kiev, specie rispetto alle scelte più decisamente interventiste degli altri Paesi europei, ma le critiche della Nato e degli altri Stati membri (oltre che le sollecitazioni di Washington) hanno riportato Scholz sulla strada raccomandata dalla Casa Bianca.
Anche il presidente francese Emmanuel Macron ha criticato gli Usa nel corso degli ultimi mesi per i vantaggi delle imprese americane a dispetto di quelle francesi.
L’Inflation Reduction Act è dunque solo la punta dell’iceberg che ha di recente unito in blocco le cancellerie europee (Parigi e Berlino in testa, Roma non pervenuta) nel criticare la nuova politica industriale di Washington, ritenuta inaccettabile e in alcuni casi persino dannosa. Anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha espresso parere negativo.
Benché questo fronte europeo comune abbia suscitato la preoccupazione di molti oltreoceano, non sembra esistere una reale e alternativa soluzione da parte dell’Ue. Bruxelles non ha ancora capito chi è e cosa vuole essere, oltre a non avere chiaro quali interessi primari industriali e geopolitici perseguire.
«L’intento di questa legge non è di danneggiare qualcuno ma di mantenere gli Usa forti in modo da poter aiutare anche i nostri amici (europei)», ha dichiarato Joe Manchin, senatore democratico ed ex governatore del West Virginia. Una critica simile è pervenuta anche da Brendan Boyle, dem a capo del gruppo parlamentare per i rapporti con l’Ue, sostenendo che le preoccupazioni europee sono «fuori luogo».
Ciò che trova impreparati noi europei di fronte a questa sfida ha a che fare con l’idea Usa di un sistema «non più multilaterale, ma altamente selettivo che privilegia nuovi attori internazionali affidabili politicamente e mette ai margini la Cina», come ha ricordato James Fontanella-Khan del Financial Times.
Nella nuova catena di valore ideata da Washington, «fuori la Cina e dentro il Vietnam e gli alleati americani nell’Indo Pacifico che beneficiano di un regime commerciale avvantaggiato».
La nuova Pax Americana, da cui dipende questo interventismo industriale, implica una rinnovata era della globalizzazione. E concepisce l’Europa, forse mai come prima d’ora, quale suo avamposto commerciale, energetico e geopolitico. Braccio armato e paravento tramite il quale promulgare un rinnovato paradigma ideologico e socio-culturale anche nel resto del mondo.
Mai come in questa era storica il sentimento negativo predominante alla Casa Bianca nei confronti di Russia e Cina può fare breccia e trasformare Mosca e Pechino quali nemici ufficiali anche dell’Ue.
È ora compito degli Stati membri europei scegliere cosa fare. Chi essere. Da quale parte stare.