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Italia usa e getta: Taranto è la metafora perfetta del Meridione depredato dalle multinazionali

Immagine di copertina
Illustrazione Emanuele Fucecchi

In Italia le multinazionali straniere arrivano, comprano al ribasso e se ne vanno

Alla fine Mittal ha fatto anche questo. Sul piatto della guerra dell’Ilva, la grande multinazionale franco-indiana ha messo in campo la cara vecchia arma: la minaccia di mettere in mezzo ad una strada cinquemila persone, da spedire subito a casa (ovviamente a spese nostre, in cassa integrazione).

Ci vuole poco a fare conto: cinquemila lavoratori sono un dipendente su due di quegli attualmente in carico all’azienda. Nella lingua italiana esiste una sola parola per definire questa mossa, ed è “ricatto”.

E mai come oggi Taranto diventa il luogo della metafora di tutto il meridione, ed anche dell’Italia depredata e messa in vendita. Lavoro contro diritto di inquinare (fino a ieri), lavoro contro diritto a fuggire (da ieri). Intorno all‘Ilva e intorno a questo tentativo di prendere per il collo i dipendenti (che molti media raccontano come un gesto obbligato, se non addirittura dovuto).

Si sta costruendo in queste ore una straordinaria opera di falsificazione mediatica. Non è Mittal che ricatta, sono i lavoratori dell’Ilva che non vogliono più lavorare. Non è Mittal che disattende gli impegni, sono i magistrati cattivi che sono troppo pignoli e le impediscono di lavorare. Non è Mittal che ha disdetto il patto occupazionale da lei stessa sottoscritto, sono i politici cattivi che la vogliono mandare via togliendole il famoso scudo.

Allora proviamo a mettere insieme quello che sta accadendo a Taranto, ma anche a Napoli con Whirpool, ma anche a Firenze con la Beakaert. In Italia ormai, sempre più di frequente accade questo: arriva una multinazionale straniera, ottiene condizioni vantaggiose per rilevare un impianto, o addirittura (come per Ilva) partecipa ad un gara per aggiudicarselo: poi fa marcia indietro sugli impegni presi e se ne va. A volte la giustificazione è nelle mutate condizioni di mercato, a volte nelle scelte strategiche dell’azienda, a volte non c’è addirittura nessuna giustificazione.

Il punto è che tutte queste acquisizioni interrotte portano comunque vantaggi ai gruppi che le fanno: a volte come per la Bekaert (servono a rubare know how e tecnologie, a volte permettono di liberarsi di un concorrente temibile, a volte servono per conquistare nuove quote di mercato. Poi, dopo che hai ottenuto questi obiettivi fai carta straccia degli accordi e te ne vai.

E in ognuno di questi scenari i lavoratori restano soli di fronte a gruppi che in Italia non hanno sedi né interessi, nemmeno un ufficio davanti a cui protestare. Persino i governi hanno pochi strumenti di tutela e faticano a trovare udienza

A Taranto, per esempio, è che Mittal in questo momento perde soldi. Ma intanto ha messo fuori gioco non un concorrente qualsiasi, ma il più grande produttore europeo di acciaio.

Il colosso franco indiano, quindi, prima ha chiuso altri cinque stabilimenti in giro per l’Europa giustificando questa scelta con la gara italiana. Poi se ne va anche dall’Italia ed in un momento di contrazione del mercato mondiale realizza questo sensazionale paradosso: per ogni tonnellata di acciaio in meno che produce nel nostro paese, ne vende una in più prodotta altrove, a costi più bassi.

La globalizzazione rende imperscrutabili le strategie finali è molto conveniente il mordi-e-fuggi. Forse, dai francesi (ma anche dai tedeschi) dovremmo copiare una buona regola che sia destra che sinistra hanno seguito nei momenti di crisi per difendere i loro lavoratori: lo stato entra sempre dentro le proprietà – direttamente o indirettamente – con una quota di controllo. Siede al tavolo, pone condizioni: lo abbiamo visto recentemente sia nella vicenda Fincantieri, e sia nella vicenda della trattativa fra Fiat/Fca e Renault (ma anche ora con Peugeot).

Gli Stati d’Europa, indipendentemente da chi li governa, proteggono i loro interessi. Lo stato italiano – indipendentemente da chi governa, di solito fa il contrario. È un bene che il il governo in questo caso si sia svegliato.sarebbe opportuno, questa volta, che andasse fino in fondo. Anche perché non c’è più tempo. Stavolta se si fermano gli stabilimenti si fermeranno per sempre.

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