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Chi se ne frega del coraggio e della umiltà di Conte, chi ammette di non avere soluzioni mortifica la politica (di G. Gambino)

Immagine di copertina
Illustrazione di Emanuele Fucecchi

Il presidente del consiglio Giuseppe Conte esce da Palazzo Chigi e va a Taranto. Incontra i lavoratori dell’ex Ilva. Parla con loro. Scende in campo. Li affronta, alcuni dei quali a muso duro. Si mette in gioco. Risponde, dibatte, si leva la cravatta, si sbottona la camicia. Smette i panni dell’avvocato cortese e indossa quelli dell’uomo come gli altri che viene dalla Puglia.

E si alza subito un coro: il coraggio di Conte, l’umiltà del premier, il politico che dice le cose come stanno, che non dice bugie, e che ammette di non sapere che fare. “Non ho soluzioni”, ha detto Conte.

È il coro dell’Italia del “tanto siamo destinati a essere scarsi, ad avere politici mediocri e una classe dirigente incompetente che ci riempie di bugie”. Del “viva l‘umiltà”. E allora ecco che il coraggio e la ammissione di incapacità, di impreparazione, di inadeguatezza alle sfide di oggi in un mondo globalizzato vengono premiati.

Ma è davvero questa l’Italia che ci piace, che vogliamo essere, che vogliamo elogiare, e che vogliamo mostrare come modello ai nostri figli?

Nell’epoca in cui il leader solo al comando è temuto e subito dopo accantonato, perché immediatamente tacciato d’abuso di eccessivo potere o, peggio, perché accostato all’incubo del ritorno al fascismo, specie se questo ammicca a riferimenti storici che alimentano una narrativa ideologica del buono e del cattivo, del fascista e dell’antifascista, in questa epoca qui, l’uomo umile al comando, che non sa che fare, che ammette la sua debolezza, di fronte a una folla di operai che non conoscono il proprio destino e quello delle loro famiglie, è automaticamente elevato a esempio da seguire ed emulare.

Questo atteggiamento spaventa in particolar modo perché ridimensiona al ribasso le ambizioni e le aspettative che il popolo deve esigere dalla politica. Giuseppe Conte, e con lui tutta la classe dirigente il cui stipendio viene da noi pagato, cioè con soldi pubblici, non può permettersi di dire che non ha soluzioni e che non sa che fare, anche nel caso in cui quelle parole fossero un tentativo del momento volto a mitigare le proteste e calmare gli animi delle parti in causa.

Tu, premier, devi avere una soluzione. Anzi, per la verità, devi prevenire una crisi – quale che sia – anziché subirla e trovarti travolto da essa. Devi darmi una risposta ufficiale e formale, devi dirmi cosa sta accadendo, e cosa faremo. Sei la mia guida, non un passante che svolge per me una consulenza qualunque.

Non solo: il caso dell’ex Ilva dimostra la profonda incapacità di previsione da parte del governo giallorosso. Ma come, sai che uno dei dossier più caldi ti può esplodere tra le mani e non ti prepari, ti fai sorprendere così? A dimostrazione che questo governo allo sbaraglio, nato sulla base di un patto frutto di un trasformismo politico accelerato e di convenienza, non ha una linea politica, non ha visione, non ha strategia. Non ha una contro narrativa da opporre a quella del centrodestra. Tira a campare.

Il coraggio di andare a Taranto è encomiabile, ma è il minimo che ci si possa aspettare da chi è in politica per mestiere. Siamo tutti molto colpiti dal coraggio umano con cui Conte ieri sera è sceso in piazza. Il coraggio, l’atto politico, dire le cose come stanno. L’umiltà. Prendersi i fischi e affrontare i lavoratori che rischiano di perdere il lavoro. Ma abbassate i calici, Conte ha fatto solo il minimo del suo dovere politico. E non ha una soluzione. Che è molto grave.

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