Chi se ne frega del coraggio e della umiltà di Conte, chi ammette di non avere soluzioni mortifica la politica (di G. Gambino)
Il presidente del consiglio Giuseppe Conte esce da Palazzo Chigi e va a Taranto. Incontra i lavoratori dell’ex Ilva. Parla con loro. Scende in campo. Li affronta, alcuni dei quali a muso duro. Si mette in gioco. Risponde, dibatte, si leva la cravatta, si sbottona la camicia. Smette i panni dell’avvocato cortese e indossa quelli dell’uomo come gli altri che viene dalla Puglia.
E si alza subito un coro: il coraggio di Conte, l’umiltà del premier, il politico che dice le cose come stanno, che non dice bugie, e che ammette di non sapere che fare. “Non ho soluzioni”, ha detto Conte.
È il coro dell’Italia del “tanto siamo destinati a essere scarsi, ad avere politici mediocri e una classe dirigente incompetente che ci riempie di bugie”. Del “viva l‘umiltà”. E allora ecco che il coraggio e la ammissione di incapacità, di impreparazione, di inadeguatezza alle sfide di oggi in un mondo globalizzato vengono premiati.
Ma è davvero questa l’Italia che ci piace, che vogliamo essere, che vogliamo elogiare, e che vogliamo mostrare come modello ai nostri figli?
Nell’epoca in cui il leader solo al comando è temuto e subito dopo accantonato, perché immediatamente tacciato d’abuso di eccessivo potere o, peggio, perché accostato all’incubo del ritorno al fascismo, specie se questo ammicca a riferimenti storici che alimentano una narrativa ideologica del buono e del cattivo, del fascista e dell’antifascista, in questa epoca qui, l’uomo umile al comando, che non sa che fare, che ammette la sua debolezza, di fronte a una folla di operai che non conoscono il proprio destino e quello delle loro famiglie, è automaticamente elevato a esempio da seguire ed emulare.
Questo atteggiamento spaventa in particolar modo perché ridimensiona al ribasso le ambizioni e le aspettative che il popolo deve esigere dalla politica. Giuseppe Conte, e con lui tutta la classe dirigente il cui stipendio viene da noi pagato, cioè con soldi pubblici, non può permettersi di dire che non ha soluzioni e che non sa che fare, anche nel caso in cui quelle parole fossero un tentativo del momento volto a mitigare le proteste e calmare gli animi delle parti in causa.
Tu, premier, devi avere una soluzione. Anzi, per la verità, devi prevenire una crisi – quale che sia – anziché subirla e trovarti travolto da essa. Devi darmi una risposta ufficiale e formale, devi dirmi cosa sta accadendo, e cosa faremo. Sei la mia guida, non un passante che svolge per me una consulenza qualunque.
Non solo: il caso dell’ex Ilva dimostra la profonda incapacità di previsione da parte del governo giallorosso. Ma come, sai che uno dei dossier più caldi ti può esplodere tra le mani e non ti prepari, ti fai sorprendere così? A dimostrazione che questo governo allo sbaraglio, nato sulla base di un patto frutto di un trasformismo politico accelerato e di convenienza, non ha una linea politica, non ha visione, non ha strategia. Non ha una contro narrativa da opporre a quella del centrodestra. Tira a campare.
Il coraggio di andare a Taranto è encomiabile, ma è il minimo che ci si possa aspettare da chi è in politica per mestiere. Siamo tutti molto colpiti dal coraggio umano con cui Conte ieri sera è sceso in piazza. Il coraggio, l’atto politico, dire le cose come stanno. L’umiltà. Prendersi i fischi e affrontare i lavoratori che rischiano di perdere il lavoro. Ma abbassate i calici, Conte ha fatto solo il minimo del suo dovere politico. E non ha una soluzione. Che è molto grave.