Ilaria Salis va difesa. Ma non dimentichiamo le nostre ingiustizie
Il trattamento riservato alla cittadina italiana dall’Ungheria ha suscitato giustamente scandalo. In molti altri casi simili, però, siamo rimasti in silenzio. Da Chico Forti a Beniamino Zuncheddu. Fino ai suicidi in carcere
Ributtanti. Le immagini di una ragazza portata in un’aula di tribunale come un cane rognoso, con mani e piedi legati e tenuta alla catena, sono ributtanti. Sapere poi che si tratti di una nostra concittadina, richiama a una protesta doverosa, ferma, inflessibile noi tutti: cittadini, libera (sic) stampa, Parlamento e Governo della Repubblica. Ancor più se l’episodio avviene in un Paese membro dell’Unione europea.
Proprio l’Europa deve avere la forza politica di applicare i suoi trattati, che statuiscono senza orpelli che i diritti di adesione all’Unione possono essere sospesi quando un Paese «violi gravemente e persistentemente» i principi fondamentali dell’Ue. Tra cui, principe, il rispetto della dignità umana.
La dignità non si può mai mettere in discussione. Nemmeno con i criminali più spietati. Figuriamoci con una persona che è a tutti gli effetti innocente, perché non condannata, e accusata di reati che, se fossero stati compiuti, meriterebbero pene tutto sommato lievi.
Ma il caso di Ilaria Salis è un granello di sabbia in un deserto di mortificazioni continue della dignità di donne e uomini costretti a subire una “giustizia” punitiva, inumana, degradante. E non solo in Ungheria.
Si deve alla consueta pervicacia di quei radicali, eredi politici di Marco Pannella, la denuncia sui casi di Filippo Mosca e Luca Cammalleri, rinchiusi in Romania dall’aprile 2023. Il Paese con le galere più sovraffollate d’Europa costringe i due italiani da quasi un anno in 30 metri quadri con altri 22 detenuti e un imprecisato numero di topi, blatte e ragni. Anche su di loro, silenzio.
I cittadini italiani detenuti nelle carceri del mondo sono 2.455. A TPI non risulta che nessuno di loro sia trattato come un principe di sangue reale. Anzi. Nelle prigioni degli Stati Uniti è rinchiuso da 22 anni Chico Forti, un connazionale accusato di un omicidio
. Avrebbe diritto, colpevole o innocente che sia, di scontare la sua pena in Italia. Mille ministri degli Esteri si sono occupati del suo caso, invano. L’ultimo, l’ineffabile Luigino Di Maio, aveva annunciato a tromboni unificati un ritorno imminente di Forti in Italia. Ma era solo l’ennesima promessa mancata. Eppure, ancora silenzio dei media e della politica.
Lo stesso silenzio seguito alla morte di Daniele Franceschi, morto di botte nel carcere francese di Grasse nel 2010. Il suo corpo, detenuto senza condanna, fu restituito ai familiari decomposto e privo di alcuni organi interni. La madre (non la stampa, non il Governo, non le opposizioni) protestò davanti all’Eliseo. Chiedeva di sapere, chiedeva giustizia. La gendarmeria francese, come risposta, le ruppe tre costole.
Una strana opinione pubblica, selettiva e distopica, si occupa solo di Ilaria Salis. Forze parlamentari di tutti gli schieramenti ululano – giustissimamente – allo scandalo per il vergognoso trattamento riservato alla militante italiana.
Eppure, tutti tacciono sulla invereconda situazione di un Paese che ha 43.000 posti nelle carceri, eppure vi rinchiude 58.000 persone. Silenzio su un Paese che ha ricevuto 2.383 condanne da parte della Corte europea dei Diritti dell’Uomo per trattamenti «inumani e degradanti», primo classificato tra i membri dell’Ue in questa tristissima graduatoria e, nel mondo, secondo solo a Turchia e Russia.
E ancora silenzio su un Paese che solo qualche giorno fa ha liberato dal carcere Beniamino Zuncheddu, un uomo che era innocente e che da 33 anni strillava senza voce la sua incolpevolezza, nell’angoscia di quella tortura che è il carcere. Silenzio su un Paese in cui, in media, una persona deve aspettare 1.600 giorni per avere una sentenza definitiva. Silenzio su un Paese in cui non ci si vergogna di dare a un detenuto 2,7 metri quadrati per vivere o che incarcera ogni anno mille persone innocenti, vittime di errori giudiziari.
E ancora vergognoso silenzio sui suicidi in carcere: 66 nel 2023, già 15 quest’anno. Un sistema bestiale che grida vendetta. Invece, siccome Orban è brutto e cattivo, solo le carceri ungheresi meritano clamore, attenzione, indignazione. Sulle altre il silenzio, ma non quello degli innocenti.