L’hashtag #iostoconsalvini non ha salvato Salvini dal processo sulla Gregoretti
La storia più recente insegna che quando un politico – o presunto tale – è costretto a giocarsi la carta dell’hashtag di tendenza, vuol dire che è arrivato all’ultima spiaggia: è la mossa disperata per tentare di cambiare il corso degli eventi.
Lo fece Matteo Renzi tramite il comitato “basta un sì” nelle ultime ore di campagna elettorale per il referendum costituzionale del 2016, investendo per di più anche un bel po’ di denaro per “spingere” #BastaUnSì e #RiformaCostituzionale nel giorno del silenzio elettorale.
Sono operazioni talvolta spregiudicate e non sempre utili, specie quando non si profila bene il pubblico a cui si “impone” la campagna a pagamento. Casalinghe thailandesi, giardinieri di New Orleans, salumieri ucraini e parrucchiere eschimesi si ritrovarono così sulla timeline i cinguettii dell’allora presidente del Consiglio e dei suoi fedelissimi. Molti italiani – infastiditi dalla violazione legale, ma moralmente discutibile – iniziarono a invece twittare #silenzioelettorale: come andò a finire è cosa risaputa.
Caso Gregoretti, l’intervento di Salvini in Senato
Altro Matteo, altro hashtag di tendenza: nella giornata in cui l’aula del Senato ha dato il via libera all’autorizzazione a procedere per l’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini, indagato dalla Procura di Agrigento per sequestro di persona aggravato per aver impedito lo sbarco di 131 persone salvate Mediterraneo dalla nave della Marina militare Gregoretti, la “bestia” ha portato #iostoconsalvini in cima alle tendenze nazionali e ha confezionato il messaggio di ringraziamento del leader: “Addirittura primo nelle tendenze italiane (immancabile bandierina) – ha twittato il “capitano” – sento forte il vostro affetto.
Aspettiamoci, nelle prossime ore, l’ennesima via crucis social: ogni stazione sarà, come sempre, accompagnata da vecchi e nuovi hashtag di tendenza su fantasiose invasioni, minacce alla sicurezza nazionale, difesa dei confini, fritti misti e mozzarelle di bufala.
Giochi virtuali che – inutile a dirsi – non avranno alcun peso nel processo al capo del Carroccio, che sarà giudicato sulla base di documenti assai più lunghi di 280 caratteri. Il “capitano” dovrà difendersi per non doversi separare dal suo smartphone, relegato in una stanzetta con un cancelletto d’acciaio.