Guerra & propaganda: in Ucraina è morta la verità (di G. Gramaglia)
Prima i missili caduti in Polonia, poi i droni sul Cremlino. Non importa cosa accade davvero sul campo, la narrazione del conflitto è importante quanto ogni battaglia e tutti sono pronti a piegare la realtà ai propri interessi. Così è impossibile sapere cosa sia successo
«Rip, riposi in pace». Un pezzetto di verità giace in ogni tomba di caduto russo o ucraino di questa guerra: “Rip”, Psm in russo e in ucraino. In un conflitto, la verità non la rispetta mai nessuno, chi ha torto e chi ha ragione: a volte, non la si sa proprio; a volte, non è comodo dirla; a volte, fa gioco raccontarne un pezzo e tacerne un altro.
La vicenda dei droni sul Cremlino «per uccidere Putin» del 3 maggio ce ne dà un buon esempio. Quei droni sono scomodi per tutti: per i russi, che li denunciano come ucraini e che, facendolo, ammettono di essere stati penetrati nelle loro difese aeree fino “al sancta sanctorum” del loro potere, sventando la minaccia solo in extremis (e, comunque, «il presidente non c’era»); per gli ucraini, che negano l’attacco, perché è fallito, ma, nel contempo, sono fieri di rivendicarlo perché mostra la capacità di insidiare in profondità la Russia; per gli americani, che Mosca chiama direttamente in causa come responsabili (senza i loro dati, è la tesi, quei droni non sarebbero mai giunti sul bersaglio): «Una decisione non presa a Kiev, ma a Washington», dice il portavoce di Putin, Dmitry Peskov.
La replica di John Kirby, portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale, è tagliente, ma non è veritiera: «Gli Usa non incoraggiano, non sostengono e non forniscono supporto ad attacchi contro singoli leader… Non sappiamo che cosa sia successo… Peskov mente». Come se l’attacco a Baghdad del 20 marzo 2003, l’inizio dell’invasione dell’Iraq, non fosse stato innescato dall’obiettivo di eliminare Saddam Hussein – senza parlare dell’uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani il 3 gennaio 2020 – e come se i satelliti Usa non abbiano occhi su tutta l’area del conflitto.
Satelliti che, quando frammenti di missili caddero in Polonia uccidendo due persone – era il 15 novembre – permisero a Washington di troncare sul nascere un analogo balletto. «Missili russi», diceva Kiev; e Mosca negava. Questione delicatissima: fosse stato un attacco russo intenzionale, poteva fare scattare l’articolo 5 del trattato atlantico e allargare il conflitto alla Nato. Svegliato nel cuore della notte a Bali in Indonesia, dov’era al G20, il presidente Usa Joe Biden pronunciò il suo verdetto: frammenti di missili deviati, o forse proprio frammenti di contraerea ucraina. Vera o falsa che fosse, la versione faceva comodo a Washington e Mosca; Kiev abbozzò e il conflitto rimase (e tuttora rimane) confinato ai territori ucraini e russi.