Pace e diritto al lavoro: così la guerra in Ucraina ha cambiato il significato del primo maggio
Per la prima volta, il primo maggio 2022 ha visto sventolare, non solo le bandiere dei lavoratori, ma anche quelle che inneggiano alla pace.
Ciò fa pensare che qualcosa di molto importante, anche se non ancora chiaro nell’immaginario collettivo, collega le due manifestazioni.
Vedremo subito qual è la causa di questa simbiosi. Intanto è da precisare che Biden ha dichiarato che l’Ucraina può vincere la guerra, e lo stesso concetto è stato espresso dalla speaker dei rappresentanti della Camera dei deputati del Congresso statunitense Nancy Pelosi in visita a Kiev, mentre Mosca, questa mattina, ha definito criminali di guerra tutti quei capi di Stato che faranno arrivare armi all’Ucraina.
Insomma, è stato dichiarato da entrambe le parti che questa è una guerra diretta tra Russia e Stati Uniti con la strana singolarità che il campo di battaglia è, almeno per ora, limitato al territorio ucraino, dove sono stati torturati, uccisi e gettati in fosse comuni, migliaia di uomini (soltanto a Mariupol, secondo fonti ucraine, sono state massacrate 25.000 persone e deportate in Russia 40.000 persone), oltre la strage di bambini innocenti, talvolta deportati in luoghi ignoti, oppure rimasti abbandonati o dispersi, mentre chiamavano invano le loro mamme e i loro papà.
Inoltre interi città e villaggi sono stati rasi al suolo, compreso tutte le strutture sanitarie, a cominciare dagli ospedali che si occupano della maternità e dell’infanzia. Insomma all’invio di armi da parte degli Stati Uniti e dell’Europa, Putin ha risposto con una rabbiosa escalation delle torture e delle uccisioni di massa, cercando, con questi barbari modi, di fiaccare lo spirito di solidarietà patriottica che ancora anima la grande maggioranza degli Ucraini.
È un orrore inenarrabile e insopportabile, che, a parte ogni giudizio sulle responsabilità dei carnefici, mi induce a sottolineare che, prima di ogni diritto di resistenza e di difesa, viene il valore della vita e degli affetti familiari. Mi sento pertanto di condannare senza mezzi termini, questo disfatto della civiltà e gridare, con Papa Francesco: “No alla guerra”, poiché la guerra è contro il supremo e intoccabile valore della vita, radicato naturalmente nell’animo umano, e non bilanciabile con altri valori.
Deprecabile in proposito è stato l’atteggiamento del nostro governo, che si è schierato passivamente ai voleri di Biden, il quale ha giustificato l’invio di armi con il motivo (invero tutto da dimostrare) di voler aiutare l’Ucraina, per la sua difesa contro l’aggressione russa. Sennonché oggi è diventato fin troppo evidente che il motivo non è più quello, ovvero non è più soltanto quello, poiché i veri contendenti, sono diventati, secondo le dichiarazioni sopra riportate, da un lato la Russia e dall’altro Stati Uniti. E se il contesto è cambiato, è evidente che il nostro Presidente del Consiglio dei Ministri deve spiegare al Parlamento, quali sono i motivi per cui l’Italia continua a mandare armi all’Ucraina, se è vero, come è vero, che queste armi servono più agli interessi contrapposti di Russia e Stati Uniti, piuttosto che per difendere la libertà di quel martoriato popolo.
L’Italia è una Repubblica democratica che, specie in materia militare, ha piena libertà di decisione, per cui spetta al Parlamento decidere se, in questa nuova situazione, essa vuole schierarsi con gli Stati Uniti, o restare neutrale, o quanto meno porre delle regole precise di collaborazione decisionale con coloro che vogliamo ritenere “alleati”. Del resto, in questa occasione, siamo tenuti a rispettare la Costituzione, la quale, nel ben noto art. 11, sancisce che l’Italia “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, tenendo presente che in questo caso, checché ne pensi Zelensky con i suoi martellanti inviti a combattere, la vera offesa è subita dal Popolo ucraino, massacrato dalle bombe e dalle nefande azioni di tortura e di morte commesse dai russi. Né si dimentichi che lo stesso articolo 11 Cost. precisa che, in casi come quello che discutiamo, l’Italia stessa ripudia “la guerra come mezzo di risoluzione dei delle controversie internazionali”.
In questo quadro si comprende agevolmente qual è oggi quel filo che unisce le manifestazioni contro il precariato e la disoccupazione, con le manifestazioni contro la guerra. La causa di tutto appare l’interesse economico, da un lato della Russia, e dall’altro degli Stati Uniti, i quali si contendono fra loro il dominio economico della maggior parte possibile dell’Europa, che è la vera “preda” in gioco. Questo l’Unione Europea, e in particolare l’Italia, dovrebbero capirlo e valutarlo, prima di immischiarsi in una guerra, che, in una maniera o nell’altra, le vede comunque perdenti.
Infatti gli interessi economici di cui parliamo, sono quelli che abitano, per così dire, il mercato generale, che segue le regole del pensiero unico predatorio del capitalismo neoliberista (secondo il quale la ricchezza deve essere nelle mani di pochi, tra questi deve esserci una forte competitività e che lo Stato non deve intervenire nell’economia), il quale si poggia sulla necessità di uno sviluppo senza limiti.
Uno sviluppo economico che in pratica non può esistere ed è certamente foriero di licenziamenti di lavoratori e di guerre, sia perché, come ha avvertito Papa Francesco nell’Enciclica Laudato sì, le risorse naturali e la stessa Madre Terra non sono infinite, sia perché lo sviluppo economico, per motivi vari (situazioni di emergenza, saturazione dei mercati, disastri naturali, ecc.) non è affatto al sicuro dalle fluttuazioni del mercato, le quali possono anche essere di una tale violenza da interrompere lo sviluppo stesso, con la conseguenza che gli operatori economici non investono più e si instaura un vortice di licenziamenti e di perdite che porta a una recessione talvolta irrefrenabile e infine a un immiserimento generale. È ovvio, a questo punto, che, come più volte è avvenuto nella storia, i detentori della politica, spinti dai detentori del potere economico, non trovano altra soluzione, se non quella di impadronirsi di altri mercati, sia con metodi ingannevoli, sia con la guerra.
Dunque, se davvero si vuole il lavoro e se davvero si vuole la pace, oltre a sperimentare nell’immediato ogni tentativo di conciliazione, un metodo sicuro e definitivo è soltanto quello di cambiare il sistema economico, passando dal sistema neoliberista al sistema economico produttivo di stampo keynesiano (in base al quale, la ricchezza deve essere distribuita alla base della piramide sociale e lo Stato ha l’obbligo di intervenire come imprenditore nell’economia).
Si tratta di un’esperienza che l’Italia ha già percorso, fino al punto di produrre il famoso “miracolo economico” degli anni sessanta, con la formula dell’economia mista, nella quale cooperano lo Stato e i privati, mentre, come si legge nel terzo comma dell’art. 41 della Costituzione “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possano essere indirizzate a fini sociali”, con benefici per tutti.
Purtroppo questo sistema è stato dissolto con le micidiali “privatizzazioni” e le “concessioni di servizi pubblici essenziali”, entrambi vietati dai principi imperativi degli articoli 41 e 42 della Costituzione, che fanno salvi la “utilità sociale” e la “funzione sociale” della proprietà. Ed è da notare che il fenomeno delle “privatizzazioni” ha avuto una applicazione molto estesa da parte di molti Stati del mondo.
Esse, in particolare, sono state attuate in Russia, specie durante il periodo di Eltsin, in modo accaparratorio e anche formalmente scorretto, facendo sì che la ricchezza dell’intero popolo russo passasse nelle mani di pochi oligarchi, detti comunemente “magnati “, che ora spingono Putin a continuare la guerra, mentre negli Stati Uniti, nell’Unione Europea, e specialmente in Italia, essa è avvenuta in modo ingannevole mediante l’emanazione di un fiume inarrestabile di leggi incostituzionali che hanno sottratto al Popolo i beni in proprietà pubblica demaniale per donarli a singole SPA, che hanno perseguito, evidentemente, interessi privati e non pubblici, ai quali erano deputati gli Enti pubblici economici e le Aziende pubbliche dolosamente trasformate in SPA, collocate sul mercato in libera offerta a chiunque volesse acquistarle.
Tornare a una economia mista potrebbe apparire a qualcuno un programma difficile da attuare, se non “utopico”, come talvolta è stato affermato. Ma si deve obiettare che questo programma è legge ordinaria di rango costituzionale, anzi è scritto nel Titolo terzo della Parte prima della Costituzione ed è pertanto un programma vigente. D’altro canto, la storia insegna che il mondo non va avanti senza l’utopia, e sono sempre più numerosi coloro che stanno rendendosi conto della situazione attuale e chiedono un ritorno al sistema economico keynesiano.
Intanto una iniziativa molto lodevole è stata attuata da Luigi De Magistris, il quale, interpretando con forte acume politico, qual è la posizione degli italiani sia sul tema del lavoro, sia sul tema della guerra in Ucraina, ha fatto sapere di aver costituito una nuova alleanza di partiti con Potere al Popolo e Rifondazione Comunista. Questa azione di De Magistris, che tra l’altro è un fine giurista e ben conosce la Costituzione, mira a riportare la civiltà dove sta trionfando l’inciviltà, riproponendo un nuovo ordine pubblico economico, l’unico strumento che può assicurare una vita libera e dignitosa per tutti i cittadini.