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Il tempo della sicurezza è finito: la guerra è tornata un’opzione (di S. Mentana)

Immagine di copertina
Credit: AGF

Per garantire gli equilibri globali si punta sulle armi e non sul dialogo. Ma così si finisce solo per aumentare ogni genere di rischio

Il tempo in cui potevamo ambire a un mondo relativamente sicuro è finito, il mondo in cui un’Europa senza guerra sembrava essere divenuto un dato consolidato è purtroppo alle nostre spalle. Questa non è l’opinione di un pacifista rassegnato o di un fumantino guerrafondaio, non è il pensiero di un grigio opinionista né di un rampante blogger militare. È, purtroppo, il dato che si può evincere da vari elementi, culminati nel rapido susseguirsi di tre dichiarazioni di alto profilo in meno di una settimana.
Il primo è stato il presidente francese Emmanuel Macron, che il 27 febbraio di fronte ai rappresentanti europei riuniti a Parigi per il vertice sulla sicurezza ha detto apertamente che non si può escludere l’invio di un contingente militare in Ucraina.

Un’affermazione che ha collezionato rettifiche e prese di distanze, ma che dà l’idea dei rischi concreti di questo tempo, soprattutto se teniamo conto che circa 24 ore dopo la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha dichiarato che è necessario che l’Europa produca il più rapidamente possibile nuove armi come ha già fatto con i vaccini, dal momento che l’ipotesi di una guerra è ritenuta possibile, per quanto non imminente. A coronare queste due affermazioni ne è arrivata una terza da oltreoceano, dal segretario alla Difesa americano Lloyd Austin che ha dichiarato che, qualora l’Ucraina dovesse cadere, ci sarebbe una guerra tra Russia e Nato. Questo dopo mesi in cui abbiamo assistito a figure di spicco del panorama internazionale come l’ex presidente russo Dimitri Medvedev parlare apertamente di possibile uso dell’atomica da parte di Mosca, e mentre in Ucraina da entrambe le parti arrivano sempre più armi, coinvolgendo più o meno direttamente sempre più Paesi nel conflitto con tutte le conseguenze del caso.

Non possiamo sapere cosa accadrà nel futuro, così come non possiamo sapere nemmeno il livello di rischio che un conflitto del genere possa scatenarsi e nemmeno il perché, ma queste frasi ci confermano che viviamo nel tempo dell’insicurezza, nell’epoca in cui la diplomazia non sembra più funzionare e in cui gli equilibri mondiali sono sempre più precari e, per questo, quando tali equilibri vengono meno, per cercare di garantirli i Paesi puntano sulle armi e non più sul dialogo. E con più armi in circolazione, aumenta qualsiasi tipo di rischio.

Così, l’Europa, il vecchio continente che dopo gli ultimi fuochi dei Balcani sembrava destinato a un futuro di concordia e prosperità, la stessa Unione europea che nel 2012 vinceva il premio Nobel per la pace, oggi annuncia una corsa alle armi in un mondo sempre meno sicuro, in cui non sappiamo cosa succederà ma in cui la guerra è ritenuta a pieno titolo un’opzione percorribile.

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