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Grande debito, grandi balle (di G. Gambino)

Immagine di copertina
Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Credit: Ufficio Stampa Governo

Un nuovo, grande, tormentone si abbatte in queste settimane sul governo: il presunto complotto, da parte dei mercati, nei confronti dell’Italia e del suo debito pubblico.

Nella maggioranza, infatti, c’è chi parla di complotti orchestrati dall’estero per colpire il Paese.

Per quanto ci è dato sapere sono solamente fesserie, frutto della solitudine al potere di Giorgia Meloni, oggi sempre meno assistita e spesso mal consigliata, la cui giustificazione è quella di gridare allo scandalo per alzare le mani davanti alla carenza di risorse con cui il Paese dovrà affrontare la prossima manovra.

Quando si arriva a toccare così il fondo, delle due l’una: o l’esecutivo è lì lì per fare un tonfo perché davvero le cancellerie europee e Washington sono intenzionati a buttarlo giù, oppure più semplicemente non è più credibile e il mercato reagisce nella maniera più conseguente e logica possibile.

Nel caso di Meloni e compagni siamo di fronte al caso numero due: minore credibilità, gestione mediocre dei conti pubblici, investimenti discutibili.

Spulciando la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, propedeutico alla finanziaria per il budget del nuovo anno, emergono alcuni dati – molti dei quali per la verità già noti – tra i quali almeno due interessanti ma catastrofici nella loro evidenza.

Il primo: ogni anno paghiamo sempre maggiori interessi passivi. Siamo circa a 80 miliardi l’anno nel 2023, arriveremo a oltre 100 miliardi nel 2026. Si tratta del 3,8 per cento del Pil italiano nel 2023. E 4,6 per cento nel 2026.

Il che significa una cosa sola: gambe e fiato mozzati per almeno un altro decennio e la garanzia di non riuscire a fare nulla, se non vivere di debiti per fare altri debiti e ripagare gli interessi sui debiti.

Facciamo un esempio, che forse potrebbe aiutarci a capire meglio, vista la portata più “ridimensionata”: se l’Italia fosse un’azienda, e certamente non lo è, sarebbe quasi completamente disastrata perché si troverebbe a doversi privare del 4 per cento circa del proprio fatturato ogni anno. Vuol dire che 4 euro su cento che “l’azienda Italia” ricava vanno in interessi. Facciamo quindi debito per ripagare debito.

Il secondo: alla voce specifica pensioni, sotto previdenza sociale, vediamo crescere drasticamente la cifra ogni anno. Parliamo di 317 miliardi nel 2023 che diventeranno 361 miliardi nel 2026. Sempre più risorse della spesa pubblica corrente vanno a finire nelle pensioni. È l’effetto dell’invecchiamento della popolazione. Una cifra tragica che condanna il Paese all’estinzione.

Sulla base di questi numeri, la conseguenza è semplice: perdita di credibilità sui mercati. Ecco perché, con questi conti, nessuno si fida dell’Italia. Sia chiaro che la responsabilità non è certo solo di questo governo ma, semmai, trasversale, da destra a sinistra, e riconducibile a mezzo secolo di mala gestione del Paese, però a Meloni e alla sua maggioranza sarebbe utile ricordare che, Nadef alla mano, non c’è complotto che tenga, ma solo un enorme, gigantesco, debito alimentato da spese monstre per pensioni e interessi passivi.

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