Governo, così la mossa di Renzi può influire sulle elezioni comunali di Milano
Il fallimento dell'offensiva di Italia Viva contro il Governo avrà delle conseguenze sulla coalizione che si sta componendo a sostegno di Sala? L'annunciato ritorno di Cerno nel Pd suscita malumori, mentre per Comincini e altri renziani la via del ritorno potrebbe essere ben più agevole
Quello tra Matteo Renzi e Beppe Sala è un rapporto che ormai dura da tempo e, quindi, soggetto agli alti e bassi che inevitabilmente caratterizzano la politica. L’ultima bizza del leader di Italia Viva, con il suo attacco al Governo-Conte, potrebbe riverberarsi anche all’ombra della Madonnina.
Intendiamoci: l’autonomia di Milano è fuori discussione. Al di là degli enunciati, essa sta nei fatti. Passaggi concreti, come la scelta di perseguire strade separate tra Pd e M5S al primo turno delle prossime elezioni nonostante l’alleanza su scala nazionale, contano più di mille parole.
Eppure, la malriuscita “mossa del cavallo” di Renzi in Parlamento potrebbe complicare un quadro di alleanze già piuttosto composito. A sostegno della ricandidatura del sindaco in carica ci sarà infatti un mosaico composto da Pd, Verdi, +Europa, Azione, la lista civica coordinata da Maura Satta Flores e ben due cartelli elettorali nati a sinistra del Partito Democratico: “Milano Unita”, coordinata dall’assessore Paolo Limonta e dal senatore Francesco Laforgia, e “Milano Prossima”, che invece avrà come capolista la consigliera uscente Anita Pirovano e l’attuale presidente del Municipio 8 Simone Zambelli.
Nonostante la biforcazione mancina, la coalizione non arriva ad abbracciare tutto il variegato mondo della sinistra milanese: come il M5S, anche “Milano in Comune” si presenterà al primo turno con un proprio candidato (stavolta non Basilio Rizzo, giunto al passo di addio al consiglio comunale dopo 38 anni). Per entrambi i soggetti, la convergenza in caso di ballottaggio è possibile, ma non scontata.
Ci vorrà un fine lavoro politico, come peraltro nei confronti dei mondi che ancora non hanno preso una posizione e che spaziano da ambienti di estrazione socialista ai radicali, passando per il civismo che nelle ultime due amministrative ha svolto un ruolo non trascurabile.
In uno scenario così articolato, la variabile-Italia Viva è una complicazione probabilmente non decisiva, ma della quale si sarebbe volentieri fatto a meno. Lo scorso settembre fece molto discutere l’appoggio dato dai renziani al candidato sindaco che Forza Italia ha presentato a Corsico, contro il Pd. L’ex vicesindaca di Milano Ada Lucia De Cesaris lo bollò come un fatto solo transitorio e locale. E comunque non impedì a Stefano Ventura di riconquistare il Comune che nel 2015 i Dem avevano perso la prima volta nel dopoguerra.
Ben più rilevanti potrebbero essere gli strascichi dell’ultimo passaggio parlamentare, come si vede ad esempio dall’evidente malumore del Pd milanese nei confronti dell’annunciato rientro, seppure da indipendente, di Tommaso Cerno: imposto da Renzi in un collegio al quale era – ed è – estraneo, il collega giornalista era poi uscito dal partito dopo un pubblico litigio sul mancato versamento dei contributi richiesti a ogni eletto nelle istituzioni. Si è finiti alle carte bollate, con la segretaria milanese Silvia Roggiani che lo ha querelato per aver paragonato il Pd ai “mafiosi che chiedono il pizzo”.
Una rottura molto difficile da sanare, così come quella che ha visto diversi ex dem seguire Renzi in Italia Viva. Alcuni di loro, ad esempio Eugenio Comincini, sembrano sul punto di rientrare, ma le interlocuzioni sono solo all’inizio, anche perché il Governo Conte deve necessariamente trovare un sostegno più ampio di quello che ha consentito di evitare la sfiducia, per non essere travolto dalle onde nel corso della sua navigazione a vista.
Un processo da affrontare con i guanti bianchi, ma che non trova Milano impreparata. Anzi, Roggiani l’ha già incanalato Roggiani con il passaggio in direzione metropolitana che ha stabilito di riaccogliere nel Pd i consiglieri comunali Natascia Tosoni e David Gentili, a patto che “stiano fermi un giro”, saltando quindi la prossima scadenza elettorale. Una decisione presa per riguardo dei militanti e di chi è rimasto nel partito, pur se in disaccordo con l’ex segretario Renzi, e che oltretutto stabilisce un precedente, mandando un messaggio chiaro anche a chi volesse tornare da altri lidi, Italia Viva compresa.
Ma qual è il peso specifico del partito di Renzi sul territorio? Difficile da dire: i rappresentanti nelle istituzioni sono pochi e le loro reti di relazioni si sovrappongono a quelle del Pd, che oggi è chiamato a un’operazione diplomatica delicata, ma senza le insidie date dai risicati numeri al Senato.
A Milano la situazione è ben diversa, come efficacemente sintetizzato dal segretario lombardo dei Giovani Democratici Lorenzo Pacini: “Il Pd deve tenere sempre le porte aperte, ma la schiena dritta”, ha scritto in un duro post sulla questione-Cerno, a ulteriore testimonianza di quanto Milano e la Lombardia non amino farsi condizionare dalle scelte romane.