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Il governo della superstizione e l’insofferenza verso la stampa (di G. Gambino)

Immagine di copertina
Credit: AGF

I limiti politici del Governo Meloni emergono ancora una volta con nettezza quando, alla fine di una estate torrida e dal clima sempre meno prevedibile, un servizio andato in onda sul TG1 altera deliberatamente (tagliandole) le parole di un fisico del CNR che aveva espresso preoccupazione per il cambiamento climatico.

Questo – un atto di censura vera e propria – dovrebbe di per sé allarmarci tutti, giacché la stampa, e a maggior ragione il servizio pubblico, ha il compito di informare i cittadini riportando la pluralità dei punti di vista e, nello specifico, come in questo caso, quelli di un accademico super partes.
Ma andiamo con ordine. A rendere sempre più marcatamente evidente la debolezza del governo, quasi già non bastassero i fatti che ciascuno di noi ha avuto modo di osservare nel corso di questo quasi biennio, è il rapporto insofferente del potere esecutivo verso l’informazione. Con una particolare ossessione a volerla controllare.
Dalla Masseria Beneficio di Ceglie Messapica in Puglia, dove Giorgia Meloni ha deciso di trascorrere le sue vacanze in una struttura a lei completamente riservata, la premier non ha messo piede fiori dalle mura per oltre dieci giorni. Nonostante i giornalisti presenti in pianta stabile fuori dalla masseria, nessuno di loro ha avuto modo di incontrare e parlare con il presidente del Consiglio che guida il Paese (salvo le note stampa pilotate di Palazzo Chigi).
Questi i fatti cronologici: il 17 agosto viene data alla stampa una fotografia di Meloni insieme alla figlia Ginevra. Il 18 è il turno di Salvini: bagni in piscina, partite a burraco, panzerotti. Un po’ poco per un leader di governo che dovrebbe dedicare (come gran parte dei suoi precedessori) almeno 15 minuti di confronto con la stampa ogni giorno. È un esercizio culturale e un dovere verso i cittadini ancor prima che una comprensibile seccatura in vacanza. Non è bastato nemmeno il caso di Arianna Meloni, “che potrebbe essere indagata”, a far parlare Giorgia: oltre una nota della portavoce della sorella, il nulla. Il 21 agosto Meloni torna sui social con una foto: un produttore di salumi le regala una confezione con capocollo della Valle d’Itria.
La stampa e il Paese possono attendere. Nessuna domanda, nessun confronto, nessuna conferenza. Il giorno successivo Meloni lascia la Masseria e sparisce per tre giorni, dopo il silenzio stampa dietro il quale si era trincerata. Comprensibile privacy o forzatura istituzionale? Raramente è accaduto qualcosa di simile, a memoria: un atteggiamento tanto volto al voler ignorare la stampa quanto al voler scomparire quasi del tutto dai radar.
A rendere ancora più teso il rapporto con i media ci pensa il portavoce di Palazzo Chigi con un comunicato completamente privo di senso, che in quei giorni scrive: «Giorgia Meloni è in Italia, è in Italia, sempre reperibile per assolvere ai suoi compiti o in caso di necessità istituzionali. Ma questo non significa che debba comunicare pubblicamente in dettaglio i propri spostamenti, quasi si trovasse in regime di libertà vigilata o fosse un concorrente del Grande Fratello. A quanto risulta il ruolo di capo del governo non prevede ancora il braccialetto elettronico».
Non v’è dubbio che i rapporti fra politica e stampa non siano mai stati perfettamente armoniosi, ma va anche detto che gli episodi in cui l’informazione è stata tenuta a bada da questo governo sono molteplici: basti pensare alla conferenza stampa di fine anno spostata, a quelle conferenze evitate e/o limitate nei viaggi all’estero, eccetera.
Telemeloni non perdona. Da Gaza all’Ucraina, passando per il clima, lo ius scholae (a cui dedichiamo la copertina) e l’immigrazione fino ai diritti sociali e civili eccetera, le emittenti tv appannaggio del governo sono il juke box di Meloni e compagni (gaffes e contraddizioni interne alla destra comprese).
L’aspetto più significativo e insieme triste della più recente vicenda del fisico del CNR censurato dal servizio pubblico sta nella cecità di fondo di un esecutivo incapace di guardare ai fatti del mondo con gli occhi della realtà: mentre il Pianeta si interroga su come mitigare gli effetti del cambiamento climatico, impegnandosi a riconoscerlo come fenomeno strutturale e facente ormai parte della nostra quotidianità, il governo italiano non solo se ne occupa in minima parte ma addirittura minimizza e nega le sue evidenti conseguenze che, oggi più frequentemente che mai, si abbattono sulla Terra.
«…Il maltempo come prima notizia al Tg1 delle 13:30;…però…non ci crederete, ma la mia frase “La presenza persistente degli anticicloni africani, impronta digitale del cambiamento climatico nel Mediterraneo, ha caricato la nostra atmosfera di una grande quantità di energia”, ha subito un taglietto strategico ed è diventata ‘La presenza persistente degli anticicloni africani ha caricato la nostra atmosfera di una grande quantità di energia’. Pazzesco!».
Queste parole di Antonello Pasini, il fisico del clima presso il CNR, sono emblematiche perché rendono evidente se non addirittura plastico il disegno dei lacchè di Giorgia Meloni a Viale Mazzini. Cancellare ogni riferimento al cambiamento climatico. Una negazione scientifica, di gravissima entità per l’informazione pubblica, e una linea politica e culturale chiara: negazionista.
Nel censurare le parole del fisico Pausini, il governo ha arrecato un danno d’informazione al pubblico italiano, che avrebbe invece apprezzato e imparato come mai l’assenza degli anticicloni delle Azzorre nel Mediterraneo siano un problema: «L’anticiclone delle Azzorre ha fatto una brutta fine, nel senso che non ci viene più a trovare ma rimane sulle Azzorre…Ora le cose sono cambiate. L’anticiclone delle Azzorre era abbastanza mite, ci proteggeva dalle perturbazioni che passavano dal Nord Europa ma anche dal caldo feroce africano», ha spiegato Pasini a Fanpage.
«Adesso è successa una cosa particolare: con il riscaldamento globale di origine antropica sostanzialmente si è amplificata verso Nord la circolazione equatoriale e tropicale. In due parole: la circolazione generale dell’atmosfera funziona così: all’equatore c’è aria calda che sale, quando l’aria sale e il vapore acqueo condensa in acqua liquida si formano le nubi temporalesche più grandi del mondo, sono quelle che forniscono le precipitazioni maggiori. Questa aria calda intanto sale, poi si sposta verso Nord e poi scende, dissipando le nubi. Questo succede a circa 30° gradi Nord. E infatti a 30° Nord troviamo il deserto del Sahara. Dove in pratica c’è un anticiclone persistente e non piove mai. Adesso il riscaldamento globale di origine antropica ha fatto espandere verso Nord questa cella che si chiama cella di Hadley. E allora cosa succede? Se prima una volta l’aria scendeva a 30° Nord ora magari scende a 40° Nord, arrivando in Italia. Gli anticicloni africani sono più caldi e provocano quello che abbiamo visto questa estate: come ad esempio la siccità».
Non solo: nel censurare Pasini, il governo ha anche assestato un brutto colpo a quei tanti italiani che, diversamente dai rappresentanti del governo, pensano che il cambiamento climatico esista davvero e che proprio per questo sia un fenomeno serio da affrontare in maniera strutturale, non emergenziale.
Perché chi agisce quasi unicamente in via emergenziale di fatto ammette che il problema non esista sul serio, limitandosi a intervenire volta per volta, quindi affidandosi al caso. Si può pertanto concludere, alla luce di questo quasi biennio di governo Meloni, che il nostro esecutivo sia molto poco illuministico e razionale, bensì per lo più a-scientifico e fondato sulla superstizione di falsi miti capaci, questi ultimi, solo di alimentare l’ideologia del proprio tornaconto politico ed elettorale. E, oltretutto, terribilmente insofferente verso una stampa libera dalle dipendenze del potere.
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