Quei giovani schiacciati da una competizione feroce (di A. Stille)
Alla mezzanotte dello scorso 31 dicembre, mentre la maggior parte delle persone brindava per festeggiare il nuovo anno, per milioni di studenti di liceo americani è scaduto il termine per la presentazione delle domande di accesso all’università. La competizione per entrare nelle migliori scuole è diventata negli ultimi anni sempre più folle. Per darvi un’idea: quando mi sono iscritto io al college, negli anni Settanta, circa la metà delle domande giunte alla Columbia University – dove ora insegno – furono accettate; nel 1992 entrare alla Columbia era diventato più difficile, ma ancora il 28 per cento era ammesso; oggi la percentuale è del 3,9 per cento. Gran parte del problema sta nel fatto che la maggior parte delle università è rimasta della stessa dimensione mentre il numero di domande è aumentato di molto: nel 1976 “solo” 9.387 persone fecero domanda per Yale e il 26 per cento fu ammesso; quest’anno ci proveranno circa in 50mila ed entrerà meno del 4 per cento.
Le università americane, inoltre, un tempo avevano un carattere regionale: in California gli studenti migliori tendevano ad andare a Stanford e Berkeley, mentre in Texas andavano all’Università del Texas. Oggi, invece, tutti “applicano” ovunque. E le università americane sono diventate globali: arrivano migliaia di domande da Cina, Corea, Singapore ed Europa. Il ché di per sé non è un male.
Fino a settant’anni fa i ragazzi provenienti da certi licei privati o da certe famiglie venivano ammessi quasi automaticamente nelle migliori università. A partire dagli anni Sessanta e Settanta, però, quelle scuole hanno cercato di diventare più democratiche, e hanno badato di più ai voti e agli esami standardizzati. Ma quando la concorrenza si è inasprita sono nate intere industrie per aiutare le famiglie a venire a capo del sistema: in vista dei test d’ingresso, gli studenti seguono corsi di preparazione o vengono affiancati da tutor privati.
Alcune famiglie assumono persino degli allenatori per aiutare i propri figli a compilare le domande di ammissione. E in alcuni casi le domande vengono “dopate” citando attività extra-curriculari fasulle, sostenendo falsamente ad esempio che lo studente è un campione di scherma, di pallanuoto. Ci sono stati scandali, con tanto di processi penali, in cui si è scoperto che le famiglie pagavano tangenti per far entrare i loro figli in determinate università. Certi ragazzi vengono trattati come piccoli pre-professionisti fin dall’età di 10 anni: trascorrono i fine settimana preparandosi ai test per entrare in un liceo di alto livello. E gli studenti di liceo iniziano a lavorare al proprio curriculum vitae dall’età di 14 anni: scelgono i corsi scolastici non in base ai loro interessi ma in base a come questi influenzeranno la domanda d’ingresso al college.
Questa competizione ha fatto impazzire i giovani. Mio figlio sostiene che gli studenti di una delle migliori scuole superiori pubbliche di New York si sabotano a vicenda per ottenere un vantaggio sulla concorrenza: mi ha raccontato che alcuni suoi amici, pur di sfuggire a un insegnante che dà voti bassi, hanno chiesto di cambiare classe dicendosi sessualmente attratti dal docente. Il lato positivo di questa corsa agli armamenti accademici è che ci sono molte più università eccellenti rispetto a cinquant’anni fa. Ma per una generazione di studenti l’infanzia è stata notevolmente ridotta. Vissuta con molta più pressione e molta meno gioia.
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