Noi giovani e la politica, tra apatia e grandi battaglie
La mia è una generazione spezzata. Una parte è sconfortata, disillusa e disinteressata alla politica. Un’altra è attiva e si batte. Come sul Clima o su Gaza. Ma in Italia quando i giovani alzano la testa vengono repressi
Ci avviciniamo alle elezioni europee, che apriranno un mandato che coincide con gli ultimi anni che ci restano per affrontare una serie di sfide – una su tutte quella climatica – ma la mia generazione sembra in parte ignara rispetto a questo voto cruciale o disinteressata da quello che comporta.
Uno studio condotto dallo European Council on Foreign Relations mostra che gli elettori europei sono divisi in cinque «tribù di crisi»: 49,6 milioni di persone ritengono che la guerra in Ucraina sarà la principale questione ad avere un impatto sul loro futuro, per 58,8 milioni sarà l’immigrazione, per 70,8 milioni la crisi economica, per 73,6 milioni la pandemia, per 73,5 milioni il cambiamento climatico.
Quest’ultimo è in cima all’agenda e alle preoccupazioni dei giovani, sia in Italia (come confermato da una ricerca di Ipsos per l’Università Cattolica), sia in Europa, dove il 24% di coloro che hanno tra i 18 e i 29 anni vedono la crisi climatica come il tema più importante, ponendola davanti alla crisi economica globale (22%), alla pandemia (19%) e alla guerra in Ucraina (12%). Tra le cinque crisi, quella relativa all’immigrazione ha ottenuto il punteggio più basso: solo il 9%.
La policrisi, cioè l’intersezione di tutte queste criticità, causa più paura sia di ciascuna di esse presa singolarmente sia della loro somma complessiva.
La mia è una generazione spezzata. Non è la sequenza degli shock: i nostri genitori e nonni hanno vissuto traumi anche più intensi, forse. È il ritmo degli shock, la sensazione che il futuro abbia generazionalmente smesso di funzionare come prospettiva migliore del presente.
Questo status quo divide la Generazione Z: una parte è sconfortata, disillusa o disinteressata di fronte a una politica istituzionale che sembra altrettanto disinteressata a lei; un’altra parte è attenta, attiva e combattiva, poiché consapevole che se non si batte per il proprio futuro nessuno lo farà al posto suo.
Alcune istanze internazionali, come la mobilitazione per il clima nel 2019 o quella per Gaza cinque anni dopo, o locali, come le proteste sul caro affitti o per il bonus psicologo, hanno avuto il merito di portare le persone dal primo approccio al secondo, e di far comprendere loro che se condividono le proprie ansie e rompono il silenzio non sono sole.
Nella nostra società, una certa idea sui giovani, che piacciono tantissimo quando vincono i tornei sportivi o i contest musicali, convive con una sorta di sospetto e una tentazione paternalista di appropriazione. Nel momento in cui essi portano il dissenso, la disobbedienza civile sul clima, il problema della disoccupazione, il disagio psichico dilagante non piacciono più. Quando i giovani si azzardano ad alzare la testa – quando c’è un «dis» davanti – non vengono ascoltati, vengono repressi.
Il tasso di partecipazione alle elezioni sta drammaticamente crollando ovunque in Occidente. I cittadini con la cultura del voto stanno lentamente morendo, e diversi segmenti delle generazioni più giovani vedono la partecipazione elettorale come un atto ininfluente, anche perché buona parte di ciò che sta loro a cuore viene ignorato o, peggio, ridicolizzato.
Nel nostro Paese i referendum sulla depenalizzazione della cannabis e sull’eutanasia, che sono riusciti a raggiungere il milione di firme grazie a una straordinaria partecipazione dei giovani, sono stati pretestuosamente bocciati dalla Corte costituzionale prima che i cittadini potessero esprimersi in merito. È una decisione coerente a quello che siamo, il secondo Paese più vecchio al mondo dopo il Giappone.
In Italia, dove i sedicenni non possono votare (contrariamente a molti Paesi vicini a noi) e gli under 25 non si possono candidare (contrariamente a tutti gli altri Paesi europei), i giovani sono una specie a rischio d’estinzione, ma ci sono ancora. La situazione di policrisi li costringe ad esserci. Siamo giovani incastrati in un sentiero che non abbiamo scelto, e che se ne avessimo avuto la possibilità non avremmo mai percorso. La repressione è anche questo: non dare una scelta. La nostra scelta è di non abbassare la testa. Non scendiamo a patti, scendiamo in piazza.