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Il giornalista aggredito da Casapound e l’Italia tornata a puzzare di fascismo

Immagine di copertina
Credit: AGF

Si può pensare, si può dire, si può scrivere che il fascismo è tornato fra noi con tutta la protervia, la ferocia, la violenza, il disprezzo che connotarono il regime creato da Mussolini? Io lo scrivo da tempo, alla faccia dei pessimi maestri che, fischiettando, garantiscono che il fascismo è morto con Mussolini e che dunque non è il caso di preoccuparsene né di proclamarsi attivamente antifascisti, nei pensieri, nei comportamenti, nell’azione politica.

L’italiano sa inventare comodi alibi per schivare la realtà, quando questa è scomoda. È oggi molto scomodo e imbarazzante in sommo grado dover prendere atto che il fascismo nella versione aggiornata (ma mica tanto aggiornata, dopotutto) è tornato ad infestare la vita della Nazione.

Sappiamo come è andata. Berlusconi a metà dei Novanta del XX secolo aveva sdoganato gli ex missini guidati da Gianfranco Fini, era riuscito nell’impresa di farli digerire alla Lega Nord di Umberto Bossi che aveva un sacco di difetti (era antiunitaria, antiitaliana, antimeridionale) ma una virtù l’aveva: detestava l’autoritarismo centralista e statalista dei fascisti.

Bossi aveva ingoiato il boccone in cambio di un posto al governo col Cavaliere. Non gli è andata affatto bene, alla fine. Spodestato da Salvini, si è visto transustanziare la sua Lega in un partito nazionalista e centralista (a parole…), che traligna la sua stessa ragione di essere.

La Storia si è incaricata di far compiere un ulteriore salto all’insù agli eredi, orgogliosamente dichiarati, del duce che fu. Chiuso il ventennio berlusconiano, il fascismo si è presentato con le fattezze e l’eloquio ruvido e urlante di Giorgia Meloni, una cresciuta fin da ragazzina sotto l’ala nera dei nostalgici in perenne e vana cova di un riscatto politico che pareva scongiurato dalla Storia. Pareva. Perché, invece, rieccoli, nel pieno della loro tracotanza, gli eredi del fascismo, proiettati addirittura alla guida del Paese! Inopinatamente, ma tanto è bastato per vederli gonfiare il petto, spingere la mascella in avanti e regolare i conti con il sistema democratico che li aveva messi al bando per 70 anni.

Corre un filone di revanscismo neppure celato nei personaggi che si sono impadroniti del Potere. Governare non gli basta. Vogliono comandare. Stravincere. Annichilire ogni forma di dissenso, strutturato o meno. Tipico del fascismo.

L’aggressione al giornalista torinese da parte di membri di CasaPound è soltanto l’ultimo (in ordine di tempo) di una costellazione di aggressioni squadriste che da quando Meloni sta a palazzo Chigi segnalano appunto il risorgente fascismo: attacchi ai gay, episodi di intolleranza verso gli stranieri, i meno dotati, i clochards, chiunque non corrisponda al ritratto virilista di questa gentaglia riesumata dal passato.

Inutile chiedere di intervenire al ministro degli Interni, lo sbirro Piantedosi (lui stesso si è dichiarato orgogliosamente “sbirro”) che non muove foglia che Meloni non voglia. E Meloni che giudica “inaccettabile” l’aggressione di Torino (sono soltanto parole d’occasione) se la cava così, con una riga di commento. E che tutto prosegua come prima.

Meloni è condannata ad equilibrismi continui per non scontentare la sua base nera interna a FdI, rassicurare gli alleati domestici (Forza Italia) e stranieri (gli Usa) che lei e il suo partito non soffrono di nostalgie per il Ventennio. Circostanza negata dai fatti.

Roberto Jonghi Lavarini, detto il Barone nero, le ha chiarito qualche tempo fa che un terzo dei giovani iscritti a Gioventù Nazionale sono fervidamente fascisti. Meloni dunque non conosce i membri del gruppo giovanile di FdI. Non sa chi sono, cosa pensano. Come agiscono.

Ricordate gli insulti agli ebrei e agli handicappati della segretaria del circolo di GN di Bari, Ilaria Partipilo? Quella perla di donna è ancora al suo posto. Il mite Donzelli ha già chiarito, con buona pace della Schlein, che non tocca alla politica sciogliere le organizzazioni neofasciste. Ci penseranno i tribunali? Dovrebbero. Ma ci credo poco.

Sono molti coloro che dobbiamo ringraziare in queste convulse e accaldate giornate di luglio per aver riverginato un’ideologia e un partito che parevano seppelliti per sempre nelle tombe della storia. I padri putativi di questo imprevisto revirement, di questa capriola nel passato più nero della Nazione, appartengono ovviamente alla destra storica (Fini, Tatarella, Larussa, Gasparri) ma sconfinano anche fra gli ex democristiani (Perferdinando Casini detto Fregoli ne è l’epitome perfetta) complici o corrivi negli anni passati verso la deriva destrorsa che, attraverso FI, ha condotto a FdI e alla Lega salviniana.

I simpatizzanti o comunque i non ostili fattualmente alla destra-destra partono a sinistra da Fausto Bertinotti, becchino consapevole del primo governo Prodi, il migliore nella storia della Seconda Repubblica, affossato dal compagno Fausto perché non era abbastanza di sinistra. Berlusconi ringrazia ancora ora dalla sua nuvoletta. Passando attraverso D’Alema e la sua Bicamerale e Violante presidente della Camera fino al modello di inciucio con doppio avvitamento e tuffo carpiato nella piscina dell’ex nemico, brevettato da Matteo Renzi che ora riprova a mettere nel sacco quell’anima candida della Schlein.

I colpevoli del via libera a Meloni dilagano anche in ciò che resta della sinistra, nei brandelli di una vicenda politica che, crollata l’Unione Sovietica, è andata sfarinandosi in una serie di smottamenti ideologici, frane dei principi fondativi, slittamenti tattici, inciuci estemporanei, connotati dalla esclusiva ricerca e della conservazione del potere. Costi quel che costi e non importa con chi lo si è spartito.

Il risultato è appunto sotto gli occhi di chiunque voglia vederlo. La politica italiana, incanaglita e delegittimata dalla continua caduta nelle mediocrità dei suoi attori, ha finito per disgustare oltre la metà degli elettori. A parole i partiti se ne crucciano, in realtà si fregano le mani. Felici. Per pochi che vadano alle urne, bastano e avanzano coloro che scelgono di votarli. E a mandarli al governo a dispetto di tutti gli altri.

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