Ora Gallera si dimetta
Le inchieste su Alzano Lombardo, la lettera del direttore dell'ospedale e la testimonianza raccolta in esclusiva da TPI.it nei paesi civili comportano una assunzione di responsabilità. E si sanano con le dimissioni dei responsabili
Dopo questa testimonianza Alzano cessa di essere un mistero ospedaliero e diventa un problema civile. Perché Alzano non è solo il punto di scaturigine più letale dell’epidemia in Lombardia (e quindi in Italia). Non è più, come nei primi frammentari e incoerenti racconti solo un “errore” dettato dalla concitazione comprensibile di una emergenza drammatica. Dopo questo documento la vicenda dell’ospedale fantasma che chiude e riapre diventando focolaio smette di essere una foto fuori fuoco e diventa due cose ben precise: una caso di malasanità, e una bugia.
Partiamo dal secondo elemento, che spiega il primo. Ancora domenica scorsa, ospite di Massimo Giletti a Non è l’Arena, l’assessore Gallera ribadiva granitico: “L’Ospedale è stato chiuso per due ore, sanificato e solo dopo riaperto”. Gallera raccontava, dunque, di avere piena contezza dei fatti, di aver ricostruito la vicenda, e di aver anche appurato che era stato seguito un protocollo tale da mettere in sicurezza l’intera struttura. Così non è andata, come sappiamo adesso. Ma allora la domanda è inevitabile: perché il massimo garante della sanità in Lombardia si ostina a sostenere una versione che prima è stata smentita dai fatti (le conseguenze devastanti di quel contagio) e adesso anche dai testimoni? E passiamo al problema della profilassi: solo uno stolto potrebbe esercitarsi nella caccia all’errore e al dettaglio, in questa vicenda. Gallera non sbaglia quando elenca il numero dei contagiati che in dieci giorni di marzo esplode in maniera geometrica dettando i tempi dell’emergenza agli apparati della Regione. Qui di seguito la testimonianza esclusiva TPI del dipendente dell’ospedale di Alzano:
Ma la vicenda di Alzano, così come quelle delle case di riposo per anziani, ci raccontano più di un errore messo in ombra dal turbine degli eventi. In questo caso ci parlano addirittura di un colpevole occultamento della realtà: la Regione, dunque, proprio mentre contestava al governo di non aver chiuso le zone rosse e di non aver preso atto del dramma, teneva una linea “negazionista” sui territori. L’esatto contrario di quello che vuole far credere oggi. È il caso del Trivulzio, dove il professor Bergamini veniva sospeso per la sua ossessione sulle protezioni nei reparti (un gesto folle), ed è il caso di Alzano, dove la testimonianza di questo operatore rivela un conflitto insanabile tra le legittime preoccupazioni dei dirigenti dell’ospedale e i suoi superiori della direzione sanitaria e della direzione generale. Qui di seguito l’audio-testimonianza esclusiva TPI di un’infermiera di Alzano:
C’è infine un ultimo elemento, per certi versi un dispotismo burocratico che questa inchiesta di Francesca Nava – esattamente come la precedente – mette in luce: l’assoluta negazione del principio di autonomia dei territori. Dirigenti regionali che usano il principio di autorità per sconfessare le scelte di chi si trova nell’occhio del ciclone, sul campo, ed è l’unico che può toccare con mano il problema. E non sono proprio questo due elementi, l’ossessione del controllo “centralistico” e la “cecità” che di solito (e anche in questa crisi) vengono imputati a “Roma” e alle “strutture burocratiche dello Stato”, dagli iperautonomisti di Milano? Sono tutti sostenitori della mitologica voce “dei territori”, tranne quando ad ascoltarla dovrebbero essere loro. Troppo comodo.
Si capisce perché queste inchieste su Alzano, questo documento e le drammatiche testimonianze pesano così tanto, e sono così difficili da accettare per chi ha preso le scelte: perché fanno cadere una impalcatura di facciata e un apparato propagandistico. Sono piccoli-grandi peccati di arroganza che – quando vengono appurati – nei paesi civili comportano una assunzione di responsabilità estrema. E si sanano con le dimissioni dei responsabili.