Per contagiare lo pseudo-assessore Gallera servono due infetti. Per salvare la Lombardia bastano due dimissioni
L'editoriale di Giulio Gambino
Prima ha tentato di spiegare, in preda al delirio, come funziona l’indice di trasmissibilità. Poi, non pago della sua gaffe, sul ciglio di una strada non meglio identificata, ci ha propinato un’altra perla video da ben 4 minuti e passa in cui sostanzialmente non spiega nulla. Poco lucido e in evidenti difficoltà comunicative, “esemplificando” i suoi innumerevoli esempi molto poco chiari (in primis a lui) e con sprezzo verso tutti: opposizione, stampa, cittadini. Chiunque cioè non sia in grado di capire il Gallerese. Come difendere l’indifendibile e non riuscirci.
Il teatrino e il botta e risposta con il nostro giornale che ne è scaturito sarebbe anche comico, non fosse che Giulio Gallera è Assessore al Welfare e alla Sanità della Regione Lombardia, e che sotto la sua responsabilità ci sono oltre 10 milioni di lombardi ai quali, ancora oggi, non è dato sapere nulla a fronte di numeri di contagio ancora in aumento (ieri +669 in Italia, di cui in Lombardia 441). E che negli ultimi tre mesi hanno vissuto l’incubo del Covid-19 in una delle regioni più colpite al mondo. Ma, è evidente, Gallera e la sua giunta regionale non hanno “fatto errori”, certo non più di altre regioni (anzi siamo tra le “migliori ad aver contenuto il contagio”). Insomma: in Lombardia ci sono oltre 15mila morti, la metà dell’Italia intera, e nulla è accaduto.
Nessuno può dire nulla. Nessuno ha il diritto di fare domande e di valutare la gestione sanitaria e politica di quella Regione. Tranne lui, l’Assessore Gallera. Fortuna che anche il suo Governatore, Attilio Fontana, nelle ultime ore era rinsavito, scaricandolo con un secco “Ha sbagliato” in merito alla mancata chiusura della Val Seriana che Gallera, giorni dopo, si era ricordato avrebbe potuto fare. Negli ultimi tempi non gliene va bene una. Eppure basterebbe poco: ammettere anche solo uno della serie infinita di errori commessi e pronunciare con umiltà due parole: “Ho sbagliato”. Oppure tre: “Ci siamo sbagliati”. Rischierebbe persino di risultare umano rispetto alla gestione di un’emergenza senza precedenti. E invece no, giù con la storia del modello lombardo, il più efficiente al mondo che tutto il mondo ci invidia, e che ha risposto bene.
La cosa grave non è solo l’incompetenza di un uomo che dovrebbe guidare la sanità lombarda e che invece non sa come funziona l’indice di trasmissibilità ma anche il fatto che un’importante carica della Regione “che traina il paese” si rivolga così alla stampa: “Caro Tpi, dormi sonni tranquilli … pseudo giornalisti in cerca di visibilità”, ha sbottato ieri Gallera. Detto da un pseudo-assessore è perlomeno singolare tanto più, poi, se a fare la predica è chi per mesi ha inseguito quella stessa visibilità di cui parla, arrivando a ventilare – in piena emergenza Covid – la sua candidatura a sindaco di Milano. È questo tono paternalistico da quattro soldi, in perfetto stile politichese, dall’alto verso il basso, che rasenta il ridicolo. Della serie: “Io sò io e voi non siete un c***o”. E siamo certi del fatto che, fosse stato un altro “grande” giornale tradizionale ad aver chiesto conto dell’operato di Gallera (come fra l’altro qualsiasi testata dovrebbe fare con chi ci governa), la reazione scomposta dell’Assessore sarebbe stata la medesima, rivolgendosi a quel giornale così come ha fatto nei confronti del nostro giornale online, nemmeno fossimo un gruppo di scappati di casa per il sol fatto che non scriviamo sulla carta stampata e perché non la pensiamo come lui.
Ebbene, sarebbe opportuno che Gallera sapesse – posto che molte poche cose sa, come si è visto – che siamo una testata giornalistica al pari di un qualsiasi altro quotidiano cartaceo (senza per giunta ricevere alcun finanziamento pubblico) che al suo interno annovera giornalisti seri – non “blogger” – capaci di raccontare fatti e di rivelare verità inedite nell’interesse di chi è governato. Anzi, una differenza c’è: siamo liberi, e padroni del nostro stesso giornale. Questo comporta il vantaggio che nessuno ci dice cosa scrivere, meno che mai un Assessore della Regione più disastrata degli ultimi tempi. Il bug del sistema è questo: nella testa di Gallera, un giornale online che conduce un’inchiesta scomoda è per definizione (la sua e basta) un blog da quattro soldi fatto da blogger relegati nel dietro le quinte dell’informazione ovattata e asservita così come lui la vorrebbe. E quindi da trattare come tali.
“Tornate a dormire sonni tranquilli”. Capite come siamo messi e in mano di chi siamo? Così, nell’attribuire nomignoli e pochezza nel lavoro di chi un’impresa l’ha costruita da zero e resa sostenibile, Gallera denigra un’intera generazione a cui lui stesso e la classe politica che rappresenta devono molto. Se l’Assessore ha qualcosa da dire, la dica chiaramente, non tergiversi, facendo finta di sapere cose che non dice e che non sa; faccia nomi e cognomi, invece di nascondersi dietro quanto gli hanno suggerito male, in un comportamento che scredita la sua figura pseudo-istituzionale e che mina fortemente la sua pseudo-credibilità agli occhi di chi, lì, ce lo ha messo. È a loro che Gallera deve innanzitutto una risposta, a chi l’ha votato, a chi non lo voterà più, a chi gli paga lo stipendio.
L’inchiesta che il nostro giornale ha condotto per due mesi a firma di Francesca Nava – in seguito alla quale la procura di Bergamo ha aperto un’indagine per epidemia colposa – ha portato a galla alcune imprescindibili verità che inchiodano la giunta regionale lombarda, responsabile di una serie di fallimenti dalle conseguenze devastanti sul territorio. A queste accuse Gallera ancora oggi non ha mai risposto. Come mai? Dica come stanno le cose. Ad oggi sappiamo: 1. Che l’ospedale di Alzano Lombardo doveva essere chiuso e che invece ordini superiori hanno impedito che accadesse, alimentando il contagio. Perché ciò è potuto avvenire? 2. Che la zona rossa poteva essere disposta il 2 marzo e nessuno – Governo e Regione – ha deciso. Perché non è stato fatto nulla, visto che “potevamo farla la zona rossa”, come ha poi ammesso Gallera? C’erano già militari e forze dell’ordine pronte a rendere operativa la zona rossa, erano già state portate pure le transenne. Chi e perché ha cambiato idea? 3. Che le imprese hanno fatto pressioni nel tentativo di posticipare una eventuale chiusura dell’area, che avrebbe impattato pesantemente sulla loro attività produttiva (376 aziende, 4.000 dipendenti e un fatturato da 700 milioni di euro l’anno, molte delle quali non hanno mai davvero chiuso i battenti fino al 23 marzo, e nemmeno dopo per la verità, continuando a operare in deroga). È vero che c’è stata una riunione tra i vertici regionali e del Governo con i rappresentanti delle aziende della Val Seriana al termine della prima settimana di marzo per scongiurare la chiusura? Del resto il leader degli industriali lombardi Marco Bonometti ha poi ammesso a TPI: “In Lombardia la produzione non si poteva fermare, non potevamo fare zone rosse”. In un’area come quella della Bergamasca ad altissima densità di imprese (1,6 ogni 100 abitanti), tra salute e lavoro ancora una volta sembra aver avuto la meglio l’interesse economico.
Se oggi asportassimo la Lombardia dalla mappa dell’Italia, i numeri di questa strage sarebbero di ben più modeste dimensioni (la metà delle 32.000 vittime totali proviene da questa regione), ed è evidente che tutto ciò non può essere frutto del caso. Qualcosa è andato storto. E il compito di un giornale come il nostro è quello di fare domande e trovare le risposte, anche quando le verità possono risultare scomode, e anche nei momenti più delicati come quello che sta attraversando il paese.
Da parte di chi come noi fa domande, non c’è alcun tentativo di sciacallaggio politico nei confronti della Regione Lombardia, ma voltarci dall’altra parte, questo no, non possiamo farlo. I numeri certificati dall’ISTAT parlano chiaro e sono impressionanti. In Lombardia moltissime persone sono state abbandonate, i tamponi non vengono eseguiti e il sistema sanitario – al 75 per cento in mano ai privati – ha mostrato le sue falle in una crisi necessariamente pubblica, che andava gestita in modo centralizzato dallo Stato.
Come mai la Regione ha tagliato ogni ponte tra medici di base e pazienti? La Lombardia è una fra le prime 10 regioni più colpite al mondo dalla pandemia. Con oltre 86mila casi di Covid-19 ha superato le cifre ufficiali della Cina. E ancora oggi, a riaperture di fatto avvenute, ogni giorno ci sono nuovi contagi e nuove vittime. Spiegateci chi sono e perché si continua a morire, nonostante le misure di sicurezza così restrittive rimaste in vigore per settimane. A queste domande finora la Regione Lombardia non ha mai risposto: né il governatore Attilio Fontana, né Giulio Gallera. Entrambi però una cosa potrebbero farla, e sarebbe buona e giusta: andare a casa. Senza grandi proclami, ma con dignità. Solo quando Gallera avrà ammesso un millesimo di quanto gli è stato contestato, allora potrà parlare. Possibilmente senza denigrare la stampa o augurarle “sonni tranquilli”.
L’inchiesta completa di TPI sulla mancata chiusura della Val Seriana per punti:
•No Conte, i giornalisti fanno domande, criticano e controllano, non devono “scrivere decreti”