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Finisce il mito dei perseguitati politici in Francia. L’arresto dei sette a Parigi non è vendetta, ma solo giustizia

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Credit: ANSA

Sette ricercati per terrorismo, tra cui cinque ex membri delle Brigate Rosse, sono stati arrestati a Parigi su richiesta delle autorità italiane, grazie alla collaborazione dell'Eliseo

Non è “vendetta”, è giustizia. E non erano “esuli”, ma latitanti, assassini impuniti, protetti da un arcaico (e sbagliato) pregiudizio ideologico che nel tempo, in Europa, ha preso il nome di “Dottrina Mitterrand”. Questi sette ex terroristi con storie criminali diverse tra di loro, ma uniti da una solida matrice comune, sono quasi tutti colpevoli di reati di sangue. E hanno avuto in omaggio dalla Francia, in questi anni, impunità e protezione.

Hanno ucciso carabinieri, avvocati, cittadini inermi. Poi sono scappati. Ed è qui che è iniziata la follia ideologica che li ha protetti fino ad oggi. Con un incredibile gioco di ribaltamento della realtà, questi ex assassini, hanno raccontato all’opinione pubblica francese un film di fantascienza a cui purtroppo qualcuno ha creduto: hanno spiegato di essere stati vittime, di essere stati costretti a fuggire, di essere stati processati senza garanzie (erano contumaci, per ovvi motivi, ma hanno visto riconosciuti tutti i loro diritti di difesa) hanno spiegato al mondo che l’Italia degli anni Settanta era una sorta di dittatura para-pinochetista in cui con leggi eccezionali si processavano innocenti solo per pregiudizio ideologico, con l’unico obiettivo di mandarli al patibolo.

Qualcuno – soprattutto fra gli intellettuali francesi – ci ha persino creduto. Ovviamente erano, e sono tutte balle: le leggi speciali introdotte durante il periodo della solidarietà nazionale non facevano mai venire meno i diritti civili, anzi. Molti terroristi hanno avuto il privilegio di vedere annullati i processi che li vedevano coinvolti, molti sono scappati tra un grado di giudizio e l’altro, solo dopo aver visto che le vicende processuali prendevano una piega a loro sfavorevole.

Sei di loro vengono dalla turbolenta e composita galassia del terrorismo rosso, uno di loro (Narciso Manenti) viene dai Nar, la più sanguinosa banda armata della destra in armi. Sono rossi e sono neri, sono di destra e di sinistra, sono tutti anti-sistema che volevano imporre la loro violenza come legge, con le armi, nel decennio più cupo della storia italiana: i cosiddetti “anni di piombo”.

Ecco perché i “motivi umanitari” per cui Nicholas Sarkozy bloccò l’estradizione della brigatista rossa Marina Petrella – tanto per fare un esempio – gridano ancora scandalo al cielo. E lo stesso si potrebbe dire di Giorgio Pietrostefani, che al contrario del suo più noto coimputato Adriano Sofri (in carcere per scelta, senza provare la fuga) si diede alla latitanza dopo il verdetto per processo per il delitto Calabresi in cui veniva giudicato colpevole di omicidio, insieme ad altri uomini dell’ex servizio d’ordine di Lotta Continua.

È importante sfatare, in un momento come questo, l’ultima balla della propaganda fiancheggiatrice filo-brigatista: quella che la giustizia italiana abbia esercitato su questi ex terroristi un accanimento vendicativo. È vero – casomai il contrario – con molta discrezione, senza una vera amnistia, tutti coloro che non si sono sottratti alla giustizia in Italia, dopo aver scontato lunghi anni di carcere, sono oggi a piede libero grazie all’applicazione in via amministrativa degli sconti di pena e dei regolamenti premiali immaginati dalla Legge Gozzini.

Come ha detto Valerio Fioravanti (libero anche lui, dopo tanti anni di affidamento in semi-libertà presso il Partito Radicale): “Gli stessi magistrati che ci hanno inquisito spietatamente, poi ci hanno consentito di tornare alla vita normale, e a piede libero”.

È il paradosso italiano, ma è anche la forza del nostro Stato di diritto: chi paga – giusto o sbagliato – ha sempre l’opportunità di ricevere una seconda possibilità dopo la pena. Ma, proprio per lo stesso motivo, con chi fugge non possono esserci sconti, regali, amnistie.

Questi sette – come i tanti altri che sono riparati in Sudamerica – hanno pensato di spogliarsi di ogni responsabilità, inventandosi una persecuzione che non hanno mai subito: adesso paghino il loro conto con la giustizia, sapendo che in Italia la pena per omicidio non si estingue mai.

Sarebbe bello, che dopo la Francia, e dopo l’arresto di Cesare Battisti, si riuscisse a chiudere anche con l’ultima nefandezza: la colonia di latitanti che hanno trovato rifugio negli anni in America Latina. A partire da quella nicaraguense, dove trovano ospitalità figure come Manlio Grill0 (ex di Potere Operaio, condannato per il cosiddetto “Rogo di Promavalle”) e quella di Valerio Casimirri, condannato a sei ergastoli e implicato nel caso Moro, che ha avuto l’addome di aprire un ristorante a Managua e chiamarlo “Magica Roma”.

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