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I Ferragnez e l’altra faccia della beneficenza: redistribuire i profitti per ripulire la reputazione

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Il caso Ferragni/Balocco, con l’appendice dell’altra metà dell’impero social Fedez, tiene banco ormai da giorni. Nell’ultima settimana sui social si sono registrate più di 6milioni di interazioni sul tema e, forse per la prima volta, il sentiment degli utenti nei confronti della Chiara nazionale è decisamente negativo: quasi 7 utenti su 10 hanno commentato o creato contenuti che condannano la vicenda della finta beneficenza.

A peggiorare la situazione, già abbastanza grave, ci ha pensato la stessa Ferragni che con il suo video di scuse, con il viso smunto, il labbro tremante e il maglioncino tristemente grigio, ha rappresentato plasticamente la “pezza peggio del buco”.

Se a questo aggiungiamo le invettive del marito più famoso d’Italia che, prima si dissocia dall’operato della moglie, ma poi attacca indistintamente senza alcun tipo di nesso tutti quelli che lui reputa avversari ma che in realtà giocano un altro campionato, inanellando per di più una serie di inesattezze prontamente smentite dai diretti interessati, potremmo quasi ipotizzare l’inizio di un’inesorabile parabola discente dei Ferragnez.

La cosa di per sé potrebbe essere interessante, forse, solo da un punto di vista meramente statistico per noi che ci occupiamo di comunicazione, se non fosse per l’argomento principe di questa situazione che si presta, giustamente, all’indignazione generale: l’uso distorto della beneficenza e, forse anche peggio, la sua ostentazione.

Nell’approfondire questa storia, così come quella delle uova di Pasqua di Miss Chiara e consorte anch’essa per nulla trasparente, mi sono posta una serie di domande che vorrei condividere con i lettori.

Innanzi tutto è lecito chiedersi se, ammesso che sia stato un “errore di comunicazione” in buona fede – poco credibile da chi con la comunicazione ci ha creato un impero – se non fosse arrivata la multa dell’Antitrust le scuse sarebbero arrivate lo stesso? Perché al di là che potevano non avere contezza della pubblicità ingannevole, nonostante gli allarmi della Balocco, il team della Ferragni sapeva perfettamente che quella era un’operazione sotto compenso e che non c’era alcune donazione di tipo personale da parte di Chiara.

E qui sorge spontanea un’altra riflessione: posto che non è reato, è etico chiedere un compenso per sponsorizzare un’operazione benefica? La risposta, a mio avviso, è certamente no. Il mondo del no profit usa spessissimo personaggi famosi come testimonial per la propria causa ma questo avviene rigorosamente pro bono. Il Prof. Velerio Melandri, direttore del Festival di Fundraising lo spiega bene in una sua intervista su La Stampa: Se è previsto un pagamento – dice – non parliamo di beneficenza ma di un personaggio che sta facendo business. Esistono testimonial che hanno fatto della loro vicinanza ad un ente benefico una vera e propria missione: pensiamo a Giobbe Covatta con Amref o a Renzo Arbore con la Lega del Filodoro. Quest’ultimo, come racconta il Presidente Rossano Bartolini “decise di aiutarci e dal 1989 non ci ha più lasciato […] non solo non si faceva pagare ma spesso tirava fuori un assegno. Ci diceva: se chiedo soldi agli altri come posso non darli io?”. Ed è questo ciò che dovrebbero fare i testimonial dall’alto della loro posizione di privilegiati, se non in senso assoluto, almeno rispetto alle cause che vogliono sostenere.

C’è poi un ultimo passaggio di questa vicenda che ha fatto storcere il naso ed è l’intervento a gamba tesa del first gentleman Federico Lucia. Nelle sue storie social infatti, dopo essersi detto distante dalle iniziative messe in campo da sua moglie a detta sua donna totalmente indipendente nelle sue decisioni, salvo poi scoprire che lo stesso modus operandi sembra essere stato usato per le sue uova di Pasqua e per ripulire l’immagine post festa di compleanno al supermercato con annesso spreco di cibo, il rapper è passato al contrattacco.

Dapprima se l’è presa con il Presidente Meloni colpevole di aver detto dal palco di Atreju che gli esempi da seguire non devono essere gli influencer che fanno finta beneficenza, opinione questa condivisibile o meno ma del tutto legittima, poi si è scagliato contro la Regione Lombardia facendo quello che chi si impegna nella beneficenza non dovrebbe mai fare: rinfacciare i propri risultati denigrando quelli degli altri.

Ha ricordato urbi et orbi dei 4 milioni e mezzo di euro raccolti durante la pandemia da covid19 che sono serviti a costruire un reparto di terapia intensiva all’interno dell’Ospedale San Raffaele, aggiungendo poi che la Regione Lombardia avrebbe speso più del doppio per l’Ospedale in Fiera arrivato 6 mesi dopo e con un numero di letti inferiore, dichiarazione questa prontamente smentita del Pirellone che lo ha costretto a dire di essersi confuso per via della foga ma che comunque l’operazione benefica messa in campo da lui e sua moglie era fighissima.

In questa guerra di numeri e di rinfacciamenti però la parola chiave resta “raccolto”. Perché durante la pandemia i coniugi Lucia di tasca loro hanno donato “solo” 150.000€ – un gesto straordinario ovviamente, ma i 4 milioni e passa sono invece frutto delle donazioni degli italiani che hanno scelto la loro raccolta invece di un’altra. Hanno fatto da cassa di risonanza, è vero, hanno messo a disposizione la propria popolarità ma, mi verrebbe da dire, che questo, in un momento così drammatico della storia del nostro Paese, era veramente il minimo sindacale. Sono stati moltissimi i personaggi famosi che in nei giorni più bui per la sanità italiana hanno, loro sì, donato personalmente somme molto ma molto più generose. Penso ai 10 milioni di Berlusconi, al milione e mezzo di Giorgio Armani, ai 200mila euro di Versace, al milione di Valentino e potrei continuare.

Questo per dire che sì, sicuramente quei soldi raccolti per l’ospedale di Milano sono serviti a salvare delle vite umane ma che non sono stati gli unici e soprattutto non dovrebbero essere inseriti alla voce “donazioni” dei Ferragnez.

Arrivati a questo punto della storia della Royal Family di Citylife possiamo concludere che per evitare di essere considerati, come la maggior parte degli imprenditori di successo, dei freddi e cinici capitalisti i due provano a redistribuire i propri profitti sotto forma di beneficenza, mettendo così a tacere la propria coscienza e allo stesso tempo, dopo ogni piccola macchia, passando una mano di bianco sulla propria reputazione.

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