Icona app
Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Banner abbonamento
Cerca
Ultimo aggiornamento ore 22:00
Immagine autore
Gambino
Immagine autore
Telese
Immagine autore
Mentana
Immagine autore
Revelli
Immagine autore
Stille
Immagine autore
Urbinati
Immagine autore
Dimassi
Immagine autore
Cavalli
Immagine autore
Antonellis
Immagine autore
Serafini
Immagine autore
Bocca
Immagine autore
Sabelli Fioretti
Immagine autore
Guida Bardi
Home » Opinioni

La felicità è una cosa seria (di G. Gambino)

Immagine di copertina
Illustrazione di Emanuele Fucecchi

Il progresso degli ultimi cinquant’anni ha portato con sé anche un aumento significativo della complessità. Più abbiamo appreso, più è aumentata la consapevolezza di ciò che non conosciamo. Più è aumentato l’ignoto, più è aumentata la nostra insoddisfazione. Questo è uno dei motivi per cui, indipendentemente dal grado di istruzione e dallo strato sociale, oggi siamo meno felici di un tempo. Il che ha portato centinaia di milioni di persone in tutto il mondo a porsi domande basilari sulla propria esistenza, come ad esempio se valga la pena lavorare così a lungo per guadagnare così poco, avere molto poco tempo libero, non dare valore alle “cose giuste”. In altre parole: se valga la pena vivere una vita così vissuta.

L’oppressione esistenziale derivante dall’ignoto ha portato gradualmente a una perdita di senso, che è uno dei problemi maggiori di questa epoca. E alla normalizzazione di questa condizione. Per capirlo meglio, provate così: sedetevi in casa sul divano del vostro salotto o sul letto della vostra stanza. Guardate gli oggetti intorno a voi. Quella sedia, quella lampada, quel tavolino, tutto ciò che avete riposto lì sopra. Vi accorgerete che forse appena uno, su dieci oggetti, avranno senso per voi. E questo è applicabile a tutto.

Domanda: se doveste improvvisamente darvela a gambe, cosa portereste con voi fra tutti quegli oggetti? Rispondendo a questo quesito vi rendereste conto che la maggior parte delle cose non ha senso. Questo per dire che troppe cose inutili hanno senso e troppe cose utili non hanno senso. Nella società dell’abbondanza la perdita di ciò che ha davvero senso avviene molto più rapidamente. Ed è terribilmente alienante.Il fatto è che accumuliamo e riempiamo le nostre vite di oggetti per due motivi: 1. Per colmare bisogni quantitativi — soldi, potere, beni materiali/terreni; 2. Per colmare bisogni qualitativi — introspezione, amicizia, amore, gioco, bellezza, convivialità. Tutte necessità, queste ultime, che ci rendono umani e soprattutto che non costano nulla. Se costassero, e cioè se per essere soddisfatte dovessimo pagare, da bisogni qualitativi diventerebbero bisogni quantitativi.

Ora pensate a questo: la pandemia è stata una delle rare fasi della nostra esistenza in cui, per la prima volta da oltre mezzo secolo, abbiamo privilegiato l’introspezione — uno dei bisogni qualitativi.

Avendo avuto la possibilità di pensare per così tanto tempo — che prima impiegavamo a soddisfare quasi unicamente i bisogni quantitativi (viaggiare da una parte all’altra della città per lavorare 10/12 ore al giorno) — un numero sempre maggiore di persone ha capito una cosa molto semplice, in fin dei conti: la società di oggi spinge a dare prevalenza assoluta a ciò che, il più delle volte, non ci rende del tutto felici (o solo parzialmente).

E più ci occupiamo dei bisogni quantitativi meno riusciamo a pensare ai bisogni qualitativi. Ecco, tutto sommato, una possibile sintesi del perché tante persone oggi non sono più disposte a dare la propria disponibilità a lavorare H24, così come di recente ha rivendicato la protesta nata in risposta alle parole di Elisabetta Franchi. L’obiettivo è superare quel modello. In Italia lavoriamo in media 1.800 ore l’anno. In Germania ne lavorano in media 1.400. Ciò significa che un impiegato tedesco ha a disposizione 400 ore l’anno in più per soddisfare i bisogni qualitativi. Non è poco. Allora, forse, la prossima volta che qualcuno si chiederà perché le grandi dimissioni sono un fenomeno rivoluzionario e di portata unica nella storia sarebbe opportuno rispondere così: «Si è sparsa la voce che si campa una vita sola».
Continua a leggere sul settimanale The Post Internazionale-TPI: clicca qui

Ti potrebbe interessare
Opinioni / Metamorfosi di atteggiamenti e posture politiche: la “nostra” destra non si smentisce mai
Opinioni / Come il “campo largo” ha strappato l’Umbria al centrodestra
Opinioni / L’alternativa all’oligarchia illiberale non è la paura ma la speranza
Ti potrebbe interessare
Opinioni / Metamorfosi di atteggiamenti e posture politiche: la “nostra” destra non si smentisce mai
Opinioni / Come il “campo largo” ha strappato l’Umbria al centrodestra
Opinioni / L’alternativa all’oligarchia illiberale non è la paura ma la speranza
Opinioni / Astensionismo record anche in Umbria ed Emilia-Romagna: così la democrazia diventa oligarchia
Esteri / Il trumpismo è un filo rosso che unisce “bifolchi” e miliardari
Esteri / Nemmeno a Trump conviene opporsi alla green economy
Opinioni / L'Europa ai tempi di Trump
Opinioni / Ma nella patria del bipartitismo non c’è spazio per i terzi incomodi (di S. Mentana)
Esteri / In Europa può rinascere dal basso un nuovo umanesimo contro la barbarie delle élites (di E. Basile)
Opinioni / Bruno Bottai: l'eloquenza del silenzio (di S. Gambino)