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L’Europa corre ciecamente verso la guerra

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Bakhmut, soldati ucraini difendono i confini nelle trincee 100 metri dalle linee russe. Credit: AGF

Stiamo ciecamente e irresponsabilmente precipitando verso la guerra in Europa e nel mondo. Gli scenari drammatici che vanno componendosi imporrebbero una riflessione generale e uno sforzo di freddezza politica da parte delle leadership nazionali diretti a disinnescare una corsa alle armi che si profila purtroppo tutt’altro che teorica.

Lo ha detto il premier polacco Tusk (“Lo scenario di una guerra europea è reale”), lo ha stabilito il recente Consiglio europeo, concluso con una chiamata alle armi ai Paesi dell’Unione affinché rafforzino gli stanziamenti in denaro e riforniscano ancora ed ancora di armi gli arsenali, in vista di uno scontro frontale con la Russia in Europa.

Dall’America Trump promette, se sarà presidente, di tagliare ogni sostegno in armi e soldi agli alleati del Vecchio Continente. “Arrangiatevi”, è il suo mantra. Gli europei prendono nota. E ubbidiscono.

La propaganda bellicista, sostenuta ad ampio raggio da analisti e commentatori compiacenti, fa leva sulla guerra di aggressione russa in Ucraina per spazzare dal tavolo qualunque ipotesi di trattativa. Si spinge per altri aiuti militari al Paese di Zelenski, che non ha più alcuna chance di vincere questa guerra – sul punto gli analisti seri più o meno esplicitamente concordano – ma può al massimo confidare in una soluzione diplomatica che congeli le conquiste territoriali acquisite dalla Russia dal 2014 ad oggi (in primis la Crimea) in cambio della garanzia internazionale sulla difesa da ulteriori sconfinamenti russi nel territorio governato da Kiev.

Purtroppo quella garanzia nessuno vuole offrirla e si è scelto di aggregare l’Ucraina nell’Ue (come non bastasse l’Ungheria e altre democrature simili che regolarmente fanno grippare i meccanismi della solidarietà comune). Si prospetta addirittura l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, che è precisamente l’eventualità che Putin ha deciso di scongiurare avviando l’aggressione del 24 febbraio 2022.

La diplomazia tace e cantano le armi, in un bagno di sangue (mezzo milione le vittime sui due fronti) che ha provocato la distruzione delle infrastrutture e degli insediamenti civili nella zona orientale ucraina. E milioni di profughi.

Festeggiano i fabbricanti di armi, che mettono a segno profitti mostruosi destinati ad incrementarsi grazie al fronte della guerra di Gaza. Anche in Medio Oriente la parola resta alle armi. Gli Stati Uniti stanno dimostrando la loro debolezza politica e diplomatica nei confronti dell’alleato storico.

Netanyahu è del tutto sordo alle geremiadi parolaie di Biden, che da mesi invoca di risparmiare vite di civili. Siamo sopra i trentamila morti nella Striscia ed è difficile credere che siano tutti feroci militanti di Hamas… Non è neppure più il caso di ripercorrere le tappe che in 75 anni hanno condotto alla cancrena inestirpabile della guerra fra Israele e i palestinesi.

Inutile distribuire colpe e meriti, la Storia parla chiaro a chiunque voglia interpellarla. Oggi conta soltanto far cessare il massacro, che assomiglia sempre più da vicino ad un genocidio, e togliere dalle mani della classe dirigente israeliana – un misto fra sionismo armato, intransigenza religiosa e spirito biblico di vendetta – le leve del potere.

Osservo con orrore che un popolo che ha subito lo sterminio programmato della Shoah sia in parte (non tutti gli israeliani stanno con Netanyahu, anzi) insensibile alle atroci sofferenze inflitte dall’esercito israeliano a masse imponenti di civili in gran parte bambini.

Forse un bimbo palestinese ucciso dalle bombe di Tsahal vale meno di un bimbo ebreo massacrato nei kibbutz dai macellai di Hamas? Non riesco a darmene una spiegazione, ecco.

Con Netanyau la composizione pacifica del conflitto è politicamente impossibile. Siamo ben oltre il biblico “occhio per occhio dente per dente” ed è palesemente irrealistica la pretesa fanatica del governo di Israele di estirpare alla radice Hamas, annientandola uomo dopo uomo.

Hamas è una accozzaglia di criminali che conduce una giusta lotta di liberazione facendola pagare ai civili palestinesi innocenti e inermi. I capi di Hamas dirigono la resistenza al sicuro in Qatar e le milizie che Israele massacra bombardando gli ospedali dove si sono rifugiate vilmente, ospedali però che ospitano anche migliaia e migliaia di civili. Se anche fossero spazzate, rinascerebbero nelle mani e nei cuori dei giovani maschi palestinesi superstiti alla guerra nella Striscia.

Non è difficile capirlo, un abitante di Gaza (il 40% sono sotto i 16 anni) non dimenticherà e troverà modo di armarsi e di riprendere la lotta armata contro gli ebrei (loro non fanno differenza fra ebrei e israeliani, io sì) e il bagno di sangue si prolungherà nei decenni a venire. Infiammando non soltanto la Striscia di Gaza (destinata a diventare un protettorato israeliano presidiato, propone il ministro della Difesa di Tel Aviv, Gallant) in una enclave presidiata da una forza inter araba. Il che equivale a dire: voi fate i poliziotti ma i padroni di Gaza (e di quel che resta della popolazione) saremo noi israeliani.

La mia coscienza si ribella. Spalanco la porta del mio frigorifero che trabocca di cibo di ogni genere e mi vergogno. Penso ai bambini di Gaza, alle donne e ai vecchi che non hanno mai impugnato un’arma contro Israele e neppure conoscono un solo militante di Hamas. Stanno morendo di fame e di sete, di malattie non curate per mancanza di strutture ospedaliere (rase quasi tutte al suolo) e di medicinali. Non è questo un genocidio?

Netanyahu andrà fino in fondo e forse aprirà un secondo fronte di guerra a Nord, attaccando il Sud del Libano, roccaforte degli Hezbollah sostenuti dall’Iran. Sarebbe la scintilla perfetta per innescare la conflagrazione generale.

Occorre fermarlo prima che sia troppo tardi, prima che la popolazione di Gaza sia sterminata o ridotta in uno stato di irredimibile schiavitù. Come? Per cominciare cessando di rifornire Israele di armi e di soldi, cosa che l’America finora si è rifiutata di fare.

Biden è un pavido, un re tentenna che vorrebbe tenere tutto insieme: lo status di poliziotto globale degli Usa e il rispetto delle minoranze, senza perdere la simpatia di Israele. Così rischia di perdere l’appoggio domestico degli studenti delle università e delle minoranze islamiche e della parte più liberal del partito democratico. Consegnando l’America alla leadership squilibrata e sovranista di Donald Trump.

Di questo passo le elezioni di novembre si trasformeranno in una ordalia e chiunque ne uscisse vincitore dovrebbe amministrare un mondo sull’orlo della guerra o già con gli stivali nelle trincee. Che Iddio ci aiuti.

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