Se nessuno ha il coraggio di prendersi la colpa per il disastro azzurro
E adesso? Adesso niente. Si va avanti come se nulla fosse accaduto. Gravina si autoconferma avvitandosi alla poltrona di presidente federale. Spalletti si autoassolve e resta inchiavardato alla panchina azzurra.
I due maggiori responsabili della disfatta in terra di Germania si autoassolvono senza fare una piega. Campioni della faccia tosta, in perfetto stile italiano. Dimissioni? Ma quando mai… L’istituto nel Belpaese non esiste, salvo rari casi.
Le diede quel galantuomo di Dino Zoff dopo la beffa nell’Europeo del 2000 scippato dalla Francia. Berlusconi lo aveva criticato per aver lasciato troppa libertà a Zidane. Era una balla, ero a Rotterdam e posso giurarlo: quel giorno Zidane non combinò quasi nulla. Eppure il j’accuse strampalato del Cavaliere indisse Dino a lasciare. Classe, anche in panchina.
Oggi usciamo cornuti e mazziati dall’ordalia germanica, sepolti da un’indecente tarantella fatta di proclami a vuoto, dissertazioni parafilosofiche, abbagli tattici, soprassalti di isterismo dell’uomo di Certaldo, campione mondiale suscettibilità. Un mix indigesto sfociato nella più umiliante avventura azzurra degli ultimi decenni.
Risultato: l’anticalcio allo stato puro sul campo, che è l’unico giudice attendibile e inappellabile del pallone che rotola.
“Il progetto va avanti”, annuncia Gravina. Inaudito. Quale progetto? Quello che da due anni a questa parte ha accumulato soltanto disastri?
Da quando ha preso in mano il timone del calcio italiano, Gravina ha gustato un unico dolce boccone, l’inopinata vittoria nell’Europeo del 2021, con Roberto Mancini in panca e il mai abbastanza compianto Gianluca Vialli a tenere unito e su di giri il gruppo azzurro, dall’alto del suo carisma. Mentre Buffon, suo erede di ruolo, fa il pesce in barile e si sgancia. “Non parlo, parlino gli altri”. Capito il personaggio?
Tutto il resto dell’era Gravina, fiele e batoste memorabili in serie. Il doppio rigore fallito da Jorginho contro la Svizzera (toh…), costato il Mondiale di Russia (e due, consecutive assenze!), la fuga di Mancini verso l’Eldorado saudita, il nuovo corso di Luciano Spalletti.
Le avvisaglie del disastro ben chiare fin dall’avvio, la stiracchiata vittoria sulla piccola Albania salutata come l’epifania dell’alba azzurra. La Spagna ci aveva riportato sulla terra e la Croazia aveva confermato l’esistenza dello storico Stellone nazionale. Ma nessuna traccia di calcio giocato, organizzazione di squadra, personalità e garra nei calciatori, nei calciatori.
E sul mix velenoso le incertezze tattiche di Spalletti: difesa a quattro, non difesa a tre, imponiamo il nostro gioco, no giochiamo più prudenti, facciamo girare il pallone purché si riesca a governarlo, ipotesi fracassata dalla impietosa realtà.
Mai vista un’Italia altrettanto scarsa, irresoluta, scadente nella proposta di gioco, debole nella corsa, molle nei contrasti uomo a uomo. L’anticalcio. Appunto, e ora Spalletti si arrampica sugli specchi, scopre che i suoi non avevano ritmo, erano lenti, sfrangiati. Analisi scontata ma dove stanno le cause? Chi ha scelto i giocatori, chi li ha allenati, atleticamente e tatticamente, chi li ha miscelati sul capo?
Ha ragione Fabio Capello: Spalletti aveva sparpagliato sul campo i suoi, senza una logica, senza un vero progetto di gioco. Ora dobbiamo sorbirci le geremiadi dei colpevoli del disastro. Si eludono i nodi del problema. Sono davvero così scarsi Di Lorenzo Barella, Darmian, Chiesa, Scamacca? A rivederli con le rispettive squadre di club non si direbbe.
Allora perché il flop azzurro? Non sarà difettoso il manico? Il mestiere del ct è lontano parente del lavoro dell’allenatore. Spalletti è un eccellente tecnico ma ha dimostrato di non essere (ancora?) entrato nei panni del ct. Nulla di inedito. Era già accaduto.
Valcareggi, Bearzot e Vicini non avevano mai allenato squadre di club ad alto livello, tuttavia da ct azzurri avevano centrato traguardi importanti. Lo stesso discorso vale per calciatori e allenatori. Il campione della Grande Inter di Helenio Herrera, Luisito Suarez, da allenatore ebbe una carriera modesta. Calciatori di bassissimo livello come Sarri, Mourinho e Sacchi in panchina con squadre di club hanno colto allori internazionali.
Tornando a Spalletti, il suo calcio offensivo ha bisogno di interpreti all’altezza e al momento non ce ne sono,. Un ct non deve pretendere di modellare la nazionale a sua immagine e somiglianza, bensì adattarsi al materiale a disposizione- Che non è eccelso, ma neppure così scadente come è apparso nella debacle tedesca.
Proseguire con il sor Luciano, uno che è convinto di avere la verità in tasca e non sa mettersi in discussione, è un azzardo che potremmo pagare ancora più caro.
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