Perché il nucleare è necessario (insieme alle rinnovabili)
Idroelettrico, solare ed eolico da soli non bastano a farci arrivare al “Net Zero”. Il rischio sicurezza? Oggi le probabilità di incidente sono dello 0,00000001%
Il “trilemma energetico” è un concetto – sviluppato dal World Energy Council – che descrive la difficoltà nel bilanciare reciprocamente il perseguimento di tre obiettivi: sicurezza dell’approvvigionamento energetico, prezzi dell’energia accessibili a tutti e sostenibilità ambientale.
In Italia, in Europa, nel mondo ci si sta rendendo conto che risolvere questo trilemma è tutt’altro che semplice.
È andata via via sgonfiandosi, infatti, quella visione eccessivamente ottimistica secondo cui per risolvere tutti i nostri problemi sarebbe bastato passare dai combustibili fossili alle sole rinnovabili. E si sta finalmente prendendo consapevolezza del fatto che non c’è altra via che sostituire gradualmente i combustibili fossili con le rinnovabili accoppiate con una energia del carico di base quale il nucleare.
Europa all’angolo
La questione è particolarmente rilevante in Europa. Come ha evidenziato anche Mario Draghi nel suo recente rapporto sulla competitività dell’Unione europea, nel territorio dell’Ue l’elettricità costa in media tra il doppio e il triplo rispetto agli Stati Uniti e il gas costa addirittura il quadruplo. Questa situazione non è sostenibile per il nostro sistema industriale.
Il fattore energetico ha avuto un peso determinante nell’allargamento del divario di Pil tra Ue e Usa registrato negli ultimi vent’anni (il gap è passato da poco più del 15% nel 2002 al 30% nel 2023).
A partire dal 2022 la situazione si è ulteriormente aggravata con la crisi energetica, che ha determinato improvvise impennate sui prezzi. Specialmente per le aziende che registrano un consumo elevato di energia – in Italia se ne contano circa 3mila, pensiamo ai settori dell’acciaio, della chimica, della ceramica, della carta, del vetro – la volatilità dei prezzi rischia di mandare in fumo interi business plan. È quindi emersa mai come prima l’importanza di avere quotazioni stabili e sostenibili e approvvigionamenti energetici da Paesi geopoliticamente affini.
In questo contesto già di per sé complicato si inserisce la decisione molto ambiziosa dell’Ue di fissare l’obiettivo “Net Zero” al 2050. Già riuscire a decarbonizzare la sola produzione di elettricità – che rappresenta appena il 20/25%, in media, degli usi finali dell’energia di un qualsiasi Paese – è un’impresa ciclopica. Figurarsi se ciò deve essere realizzato per l’intero sistema energetico.
È evidente che se ne viene a capo solo adottando un approccio pragmatico e tecnologicamente neutrale.
I problemi di pale e pannelli
Le fonti di energia rinnovabile sono una strada fondamentale, e sulla quale anzi bisogna accelerare, ma da sole non sono assolutamente sufficienti ad assicurare una completa decarbonizzazione del sistema energetico.
Prendiamo il caso dell’Italia. Nel nostro Paese le rinnovabili generano circa il 40% dell’elettricità: metà viene dall’idroelettrico e metà da solare ed eolico. Ma l’elettricità, come abbiamo detto, rappresenta solo il 20% dell’energia consumata. Basta un rapido calcolo per ricavarne che le “nuove rinnovabili” – ossia il solare e l’eolico – con il loro 20% di apporto all’elettricità, generano oggi appena il 4% del fabbisogno energetico nazionale.
Inoltre, le rinnovabili comportano alcuni problemi non da poco. Sono una fonte di energia intermittente: ricaviamo elettricità, cioè, solo quando splende il sole o spira vento. Sono in grado di produrre solo elettricità (non invece calore, ad esempio). Consumano grandi quantità di suolo: a parità di energia prodotta, occupano uno spazio di oltre 100 volte maggiore rispetto al nucleare. Sono alimentate da materiali che provengono da Paesi terzi (in primis la Cina), il ché pone un tema di dipendenza energetica. Infine, i costi di sistema crescono esponenzialmente con la penetrazione delle rinnovabili e questi costi aggiuntivi sono a carico dei contribuenti.
Dunque le rinnovabili devono essere complementate con altre fonti. E l’unica altra fonte decarbonizzata possibile è il nucleare, che permette di produrre tutti i maggiori vettori energetici (elettricità, calore, idrogeno) in maniera continuativa, stabile a prezzi competitivi e senza emissioni di gas climalteranti o altri agenti nocivi.
Obiezioni respinte
Quando si discute di energia nucleare, in Italia si levano puntualmente alcune obiezioni. Fra le più diffuse, c’è quella riconducibile ai timori per la sicurezza.
Sgombriamo subito il campo fornendo un dato: secondo uno studio dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (Iaea) e di Forbes, passando in rassegna tutte le possibili fonti di energia, il nucleare è quella con il tasso inferiore di mortalità per kilowattora prodotto. Se si eccettua il caso di Chernobyl, risalente ormai a 38 anni fa, la produzione di energia tramite la fissione nucleare storicamente ha registrato pochissime morti. Nel disastro di Fukushima del 2011, ad esempio, l’incidente non causò nemmeno una vittima: gli unici decessi furono da imputare al terremoto e allo tsunami.
Le centrali odierne di terza generazione hanno raggiunto livelli di sicurezza estremi, in cui – grazie anche a sistemi passivi – le probabilità di incidente sono nell’ordine dello 0,00000001 per cento. Paventarne la pericolosità significa fare dell’inutile allarmismo.
Un altro argomento che viene sollevato ogni volta che si parla di nucleare in Italia è quello relativo al collocamento delle scorie. Per quanto riguarda i rifiuti radioattivi a bassa e media attività, il discorso coinvolge anche gli scarti di alcune produzioni sanitarie e industriali: nel nostro Paese disponiamo delle tecnologie più avanzate per gestirli, ma solo qui diventa un problema individuare un luogo nel quale insediare il deposito unico nazionale.
Quanto ai rifiuti ad alta attività e lunga vita, è bene precisare che si tratta di una quota davvero residuale nella produzione di energia. Se ciascuno di noi vivesse 100 anni e il proprio fabbisogno energetico fosse soddisfatto unicamente con il nucleare, al momento della nostra morte il volume dei rifiuti radioattivi prodotti sarebbe equivalente a quello di una lattina di coca-cola. E, all’interno di questa lattina, le scorie ad alta attività corrisponderebbero a delle minime “tracce”.
Benché siano una quota infinitesimale del totale, peraltro, queste scorie vanno adeguatamente stoccate. Come? In depositi geologici a una profondità nel sottosuolo tra i 600 e i 1.000 metri. Nel 2027 aprirà il primo deposito in Finlandia e a seguire in Svezia, poi toccherà a Francia, Usa, Cina, Russia…
Infine, veniamo alla questione dei tempi e dei costi. Partiamo da un dato: l’anno scorso in Italia abbiamo pagato l’energia elettrica in Italia mediamente 127 euro al megawattora, mentre la Francia con i suoi 57 reattori l’ha pagata 45 euro.
È vero: negli ultimi vent’anni nel mondo occidentale spesso i tempi di realizzazione delle centrali nucleari si sono allungati più del dovuto, innescando anche un aumento dei costi. Ma ciò non va imputato all’ingegneria nucleare, bensì alla politica e alla burocrazia. La Francia ci mise 20 anni a costruire 50 reattori e ora, avendo perso molte delle capacità industriali e regolatorie a causa della stasi nelle nuove realizzazioni, sta impiegando 15 anni per mettere in rete la sua prima centrale di terza generazione.
Viceversa negli Emirati Arabi, partendo da un livello di competenze pari a zero, hanno messo in rete quattro reattori di grande taglia in 10 anni. Significa che, laddove le condizioni sono favorevoli, è possibile velocizzare i tempi e contenere i costi.
L’Italia vanta ancora importanti competenze in ambito nucleare. Ultimamente abbiamo mappato 74 industrie italiane che stanno ancora lavorando su progetti nucleari. Abbiamo centinaia di connazionali che operano in questo settore all’estero, anche in posizioni apicali. Se vogliamo decarbonizzare l’intero settore energetico mantenendo prezzi competitivi e stabili e migliorando la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, abbiamo una sola strada davanti a noi: adottare un serio programma nucleare complementare a quello delle rinnovabili e portare avanti entrambi senza ripensamenti e in maniera complementare.