Cara sinistra, non cantare vittoria: l’Emilia è salva, ma c’è tutto un mondo che vota ancora per Salvini
È chiaro ormai che è lì che si è vinto. Cioè che ha vinto Stefano Bonaccini. O, forse meglio, che Matteo Salvini ha perso. È sull’asse che lungo la via Emilia, procedendo da sudest verso nordovest, va da Bologna a Reggio Emilia (non più di un’ottantina di chilometri, 73 per la precisione se si va sull’A1).
È in quella striscia di tre città (il cuore dell’Emilia) con relative circoscrizioni, che il governatore uscente ha messo al sicuro il “tesoretto” di 181.070 voti che lo separano dalla Borgonzoni e gli danno i 7,79 punti percentuali di vantaggio sulla concorrente salviniana.
Potremmo anche dire, usando una sineddoche, cioè una parte per il tutto, che è in quelle tre “piazze” (piene come “scatole” di sardine) che si è consolidata l’”accumulazione originaria” che ha strappato alla fine al “Capitano” una vittoria che considerava già in tasca (“In Emilia stravinciamo” aveva proclamato alla vigilia del voto).
Il grosso di quella sontuosa dote, va detto, è stato portato a casa a Bologna: 132.776 voti di distacco nella Circoscrizione (24 punti percentuali, che a Bologna città, dove Bonaccini prende il 65 per cento, diventano addirittura 34).
È la città da cui le sardine hanno incominciato la loro travolgente marcia il 14 novembre riempiendo a sorpresa la Piazza Maggiore con il primo flash mob (il doppio dell’obbiettivo di 6mila presenze) e lanciando il primo segnale che “si poteva”.
Poi Modena: 40.631 voti di vantaggio nella provincia, 28 punti di distacco in città. Era stata la seconda piazza piena di sardine, il 18 novembre con i 7mila in Piazza Grande nonostante la pioggia.
Infine Reggio: 40.631 voti in più nella Circoscrizione, 23 punti di distacco in città (quella dei 6mila in piazza Prampolini il 23 novembre…).
Se si fanno però i 38 chilometri di autostrada che separano Reggio da Parma, il quadro incomincia a cambiare: a Parma città (dove il 10 novembre le sardine erano state 10mila in Piazza Duomo) il vantaggio di Bonaccini su Borgonzoni è ancora visibile (11 punti percentuali, circa 10mila voti in più) ma nella Circoscrizione si ribalta (Borgonzoni supera Bonaccini di 4 punti e circa 9mila voti).
E Piacenza è un altro mondo: Borgonzoni vince in città (10 punti percentuali in più) e stravince in provincia (32.044 voti di vantaggio su Bonaccini, il 60 per cento contro il 37 per cento). Lo stesso succede se invece dell’A1 si percorre la A14, la Bologna-Ancona-Taranto, verso sudest: la Circoscrizione Forlì- Cesena va ancora a Bonaccini con 11mi,a voti e 5 punti percentuali di vantaggio, ma quella di Rimini, sia pur di misura (2mila voti, 1 punto e mezzo) è della Borgonzoni.
E più a nord, verso il confine con il Veneto, a Ferrara, Salvini può brindare (i punti di vantaggio della Borgonzoni sono 14, i voti in più 25.862). Certo, a Ferrara città quel vantaggio si riduce a poco più di un capello (un quarto di punto percentuale, 142 voti!). E a Rimini comune Bonaccini è avanti di tre punti.
Ma nei rispettivi contadi le cose vanno a rovescio: nelle valli di Comacchio Borgonzoni straccia Bonaccini (69 per cento a 26). Sulla riviera romagnola, a Riccione, Bonaccini è dietro di 5 punti, a Bellaria-Igea marina di 15.
La legge della demografia, più che quella delle culture politiche, qui sembra farla da padrona: una linea ben netta, più forte del confine, separa le città di medio-grandi dimensioni dai piccoli centri e dai comuni-polvere.
Lo mostra, con l’evidenza delle “leggi fisiche”, un grafico elaborato da YouTrend in cui i risultati comune per comune sono mostrati in ordine crescente per numero di abitanti: Bonaccini è altissimo nei centri urbani con una popolazione tra gli 80mila e i 400mila abitanti (sta tra il 54 e il 56 per cento), scende nella fascia tra gli 80mila e i 30mila (dal 54 al 48 per cento) e precipita nell’area tra i 15mila e i 5mila abitanti dove tocca il minimo (sotto il 40 per cento).
Trend esattamente opposto per Borgonzoni che sotto i 15.000 abitanti fa il pieno (ampiamente sopra il 50%) per scendere gradualmente man mano che le dimensioni degli abitanti crescono e toccare il fondo nei centri sopra i 30.000 abitanti).
Per dirla con le parole dei ricercatori di YouTrend “al diminuire della grandezza dei comuni, aumenta il numero di voti a favore della Lega e della candidata presidente Borgonzoni”. E la stessa percezione “visiva” si ha se anziché i grafici si guardano le mappe e i loro colori: il quadro cambia radicalmente (le tinte si fanno via via diverse e più nette) man mano che dai “centri” ci si sposta verso le “periferie”, dalle Città al “Contado, dalle zone a scorrimento veloce (infrastrutture autostradali e ferroviarie, telecomunicazioni concentrate) a quelle più “statiche”. Aldo Bonomi direbbe: dai flussi ai luoghi.
Non è dunque vero che con queste elezioni “non è cambiato niente”. Che “la sinistra” è rimasta “in controllo del territorio”. Certo, non molto è cambiato rispetto alle recenti elezioni europee (rispetto alle quali, per la verità, la Lega del factotum Salvini perde circa 80mila voti dopo l’expoit che dai 233mila voti del 2014 l’aveva portata ai 760mila del maggio 2019). Ma rispetto al 2014, e soprattutto al 2010, è cambiato il quadro – il quadro cromatico lo mostra bene –quasi tutto: la buona, vecchia “Emilia rossa” che era entrata nel nostro linguaggio comune non esiste più.
Da qualche tempo, e il voto di domenica 26 gennaio lo conferma, esistono due Emilie Romagne, due territori dentro lo stesso confine regionale ma separati e contrapposti: è ormai un’”Emilia bicolore” quella che ci mostrano le mappe elettorali, con una striscia densa ma stretta rossa (o rosa) lungo quell’asse centrale di cui si è già detto che si addensa intorno alla via Emilia prolungandosi in parte verso la costa adriatica (la linea della “resistenza civile” e della memoria storica emiliana), e una superficie più ampia (molto più ampia in estensione, anche se più rarefatta demograficamente) verde (o blu, a seconda dei casi, se si privilegia il primo partito – nel caso la Lega – o la coalizione di centrodestra).
Il “Centro” e i “margini”, si potrebbe dire. O “la polpa e l’osso”, parafrasando il Manlio Rossi Doria che negli anni Cinquanta esaminava la questione meridionale, dove la prima (la polpa) sta nella pianura opulenta e veloce, in cui la modernizzazione non morde nella carne sociale perché bene o male offre benefici ampi, e la seconda (l’osso) sui bordi, soprattutto sui bordi alti, dove il “progresso” dei primi prende più di quanto da.
La cosa è evidente, nell’analisi del voto attuale, in modo particolare per le cosiddette “aree interne”, le “terre alte”, i comuni (spesso in sofferenza) che si concatenano lungo le direttrici che dal basso salgono verso i valichi appenninici, sia quelli dell’appennino ligure-emiliano, in provincia di Piacenza e di Parma, sia di quello tosco-emiliano e umbro-marchigiano, tutti distribuiti sul bordo meridionale della Regione.
È lungo queste direttrici che la landslide, la “lenzuolata” verde, si distende compatta. Prendiamo, ad esempio, la Via degli Abati, che nel piacentino-parmense sale verso Bobbio (dove Borgonzoni ha dato 11 punti di distacco a Bonaccini) con la sua storica Abbazia, e registriamo i risultati nei comuni che ne scandiscono le tappe: a Bardi ha fatto il 74 per cento contro il 24; a Borgo Val di Taro 63 contro 33; a Caminata, Nibbiano e Pecorara, aggregati nell’Alta val Tidone, 69 a 28.
Oppure scendiamo verso sudest, sulla strada che porta al Passo delle Radici per scendere attraverso la Garfagnana verso Lucca: a Piandelagotti Borgonzoni supera Bonaccini di 13 punti (55 per cento a 42), a Civago-Villa Minozzo di 16 (56 per cento a 40), a Pievepelago quasi di 40 (67 per cento a 29). Idem per Verghereto – sul Cammino di San Francesco che attraverso il passo di Viamaggio conduce verso l’aretino e Città di Castello – Borgonzoni fa un secco 65 a 32.
Sono piccoli numeri rispetto a quelli delle città capoluogo, distanze abissali in percentuale ma poche decine o poche centinaia di voti in valore assoluto. E tuttavia la miriade di puntini verdi sulla mappa, a segnare i territori del margine, offre una panoramica cromatica inquietante.
In termini di “territorio” (di “estensione territoriale”) l’Emilia Romagna è più che per metà (forse per due terzi) “caduta”. Ci possiamo certo compiacere (e come non farlo?) per il successo trionfale di Bonaccini a Bibbiano, riscattata dal fango gettato a palate da un ex Ministro dell’Interno trasformatosi in hooligan, o per il contrappasso del Pilastro e il boomerang della citofonata rimbalzata in faccia al bullo che l’ha fatta.
Ma sarebbe un errore dimenticare l’altra metà del piatto, rimasta vuota. O riempita di un’altra pietanza. La tenuta emiliana, credo sia evidente dai dati, è in gran parte merito delle piazze sorridenti e civili (“urbane”, appunto) che hanno risposto con un soprassalto di dignità alla minaccia che lo stil nuovo salviniano portava al nostro rispetto di noi.
Sono state una sorta di reazione del sistema immunitario di fronte a una patologia incombente. Poteva venire – l’ho scritto su queste pagine un paio di mesi fa – solo da una generazione di “innocenti” rispetto alle tante, troppe colpe, che la politica (i partiti tutti, compresi quelli che non si vogliono definire tali) ha accumulato nel ventennio passato.
Sono loro che hanno riportato alla passione della partecipazione tanti, di ogni classe di età e ceto sociale, che non ci credevano più. Da solo il Pd avrebbe perso, malamente, questa partita decisiva.
Per questo Zingaretti – dopo aver festeggiato giustamente il passato pericolo e la grazia ricevuta – farebbe bene a riflettere a fondo prima di accreditarsi questa come una propria vittoria.
E soprattutto prima di proclamare alcunché: si tratti del tanto conclamato ritorno al “bipolarismo”, considerazione superficiale, affrettata, improvvida (in Italia il bipolarismo spurio, quando è stato imposto, come per esempio da Veltroni e Berlusconi nel 2008, ha portato solo guai: il berlusconismo ne è figlio e anche padre).
Oppure, ancora, si tratti di una reminiscenza maggioritaria per quanto riguarda il sistema elettorale: un maggioritario, o comunque una legge elettorale mista con quote di collegi uninominali, favorirebbe chi è maggiormente concentrato territorialmente, e se c’è una forza politica in Italia che lo è questa è la Lega.
La partita, è bene saperlo, resta aperta. La minaccia salviniana, seppur indebolita e rallentata nel suo percorso di contagio, resta tutta sul terreno. Anzi: “sul territorio”.
Molto dipenderà dalla capacità di ascolto di quelle aree del margine e del disagio, da parte di chi negli ultimi anni ha privilegiato le aree della velocità e dei winners della globalizzazione.
Dalla mutazione genetica che quel che resta della sinistra saprà o non saprà compiere, per rientrare in sintonia con il proprio (ex) popolo.Per ora la sana reazione di rigetto da parte degli anticorpi emiliani ci ha salvati dal peggio. Non disperdiamo tutto ciò per ottusità o arroganza di partito.