Draghi imiti Macron: lo Stato diventi azionista di Stellantis (di R. Gianola)
L’Europa ha fissato al 2035 la svolta green dell’auto. Roma dovrebbe fare come Parigi garantendo la presenza pubblica nei colossi del settore. Ma l’Italia è impreparata e resta a guardare
L’Europa ha deciso che dal 2035 non si potranno più vendere auto con motore a benzina e diesel. I cittadini europei potranno acquistare solo auto a emissioni zero, quindi vetture elettriche in attesa di altre soluzioni come l’idrogeno. Salvo rettifiche e rinvii, sempre possibili, questa svolta inaugura una rivoluzione industriale e sociale, tenuto conto del peso che l’Automotive ha in Europa e nel nostro Paese: il settore vale l’8% del Pil dell’Unione europea, l’11,5% della forza lavoro manifatturiera e il 6,6% della forza lavoro totale.
In Italia la filiera dell’auto rappresenta 50 miliardi di euro di fatturato e 300mila occupati. I distretti della componentistica come quello bresciano e la Motor Valley padana sono punti di eccellenza europei che dovrebbero essere ascoltati e tutelati. Imprese, sindacati e politica sono preoccupati da questa accelerazione perché il nostro Paese appare in ritardo davanti alla profonda trasformazione che il settore Automotive dovrà affrontare, adeguandosi velocemente a nuovi processi produttivi e a rigorosi standard ambientali.
Alcuni imprenditori hanno paventato la perdita di milioni di posti di lavoro in Europa e una nuova dipendenza estera dell’Italia: oltre al gas importato, diventeremo ostaggi della Cina o del Congo tra i maggiori produttori di litio e nickel, indispensabili per fabbricare le nuove batterie per l’auto elettrica. I sindacati chiedono garanzie, un piano europeo di sostegno al settore. Il governo Draghi, e chi l’ha preceduto, osserva con distacco un fenomeno destinato a cambiare l’industria e i consumi. L’eccitazione per il via libera alla gigafactory di Termoli per l’assemblaggio di batterie (con un nostro contributo pubblico di 370 milioni di euro) non può nascondere la mancanza di una strategia nazionale, di una politica d’investimenti in un settore che sarà decisivo per l’economia e l’occupazione ancora a lungo.
Draghi dovrebbe seguire l’esempio del collega Emmanuel Macron che, dopo aver favorito il matrimonio tra Fca e Psa, ha mantenuto la presenza dello Stato francese nel nuovo colosso Stellantis. Noi, invece, siamo fuori, nessun ministro o leader di partito ha detto una parola, mentre gli eredi Agnelli si allontanano sempre più dall’auto, salvo mantenere la ricca Ferrari come vitalizio, per investire nella finanza, nella sanità, nella moda.
Una presenza pubblica in Stellantis sarebbe un segno importante, una garanzia per lo sviluppo delle nuove piattaforme, per la ricerca, per la tutela occupazionale in Italia. Nell’ambito del Patto stretto tra Macron e Draghi ci può stare anche un capitolo dedicato all’auto sostenibile. La Francia ci punta moltissimo, mentre la nostra politica dorme e non si accorge che Stellantis sta tagliando la produzione nelle fabbriche italiane.
Altro che “lo Stato si tiri da parte” come implorano le vestali del mercato in Italia, la Francia va in direzione opposta. Stellantis è funzionale all’obiettivo di Parigi di conquistare la leadership europea nell’Automotive grazie a un solido progetto di sostegno ai produttori nazionali. Macron ha varato un piano apposito,“Plan de soutien à l’automobile. Pour une industrie verte e compétitive”, in cui fissa le strategie: l’auto è un pilone determinante per l’industria, il governo sostiene la ricerca e la crescita, l’obiettivo è sfidare l’industria dell’auto tedesca finora incontrastato leader del Vecchio Continente.
I produttori francesi, inoltre, devono sviluppare in casa le tecnologie più importanti per l’auto, in una logica patriottica di valorizzazione e di difesa del patrimonio industriale. Se l’Italia vuole contare nell’industria dell’Automotive è necessaria una presenza dello Stato in Stellantis.
Presentato come una “fusione tra pari” il matrimonio tra Fca e Psa è in realtà un take over francese su quel che resta dell’industria dell’auto italiana in salsa americana. Questa alleanza è così paritaria che gli eredi Agnelli hanno accettato di avere nel consiglio di amministrazione un posto in meno dei francesi mentre la prima fila dei manager è occupata in larghissima maggioranza da dirigenti d’Oltralpe.
Stellantis ha già scelto di privilegiare la componentistica francese, a partire da Faurecia, l’azienda di Nanterre con circa 17 miliardi di ricavi, punto di riferimento dei costruttori d’auto. In Italia non esiste un’impresa con questo ruolo, avrebbe potuto averlo la Magneti Marelli, leader nelle batterie, ma John Elkann decise di venderla ai giapponesi di Calsonic Kansei per raccogliere qualche miliardo da distribuire ai suoi familiari, sempre bisognosi di dividendi.