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Dove si infrange il sogno delle Big Tech (di G. Gambino)

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L’avvento sempre più prepotente dell’intelligenza artificiale, e il dibattito intorno a essa, ha reso improvvisamente più vulnerabili i colossi del web, che avvertono oggi la minaccia di una sempre minore influenza dopo quindici anni di strapotere assoluto e di dominio incontrastato.

Scricchiola la Silicon Valley, per la prima volta dopo un periodo ininterrotto di crescita costante a doppia cifra, e vengono messi in dubbio da parte dei vertici delle Big Tech l‘identità e il futuro delle stesse.

Decine di migliaia di lavoratori sono stati lasciati a casa nelle ultime settimane, da Google a Meta, passando per Amazon; e molti altri ancora verranno presto accompagnati alla porta.

Durante la pandemia, con miliardi di persone chiuse in casa improvvisamente private di relazioni sociali, le Over-the-top hanno avuto una sorta di ulteriore, eccezionale effetto boost.

Incredibile a dirsi, ma nessuno ai vertici delle Big tech aveva previsto un ritorno alla normalità, con un conseguente calo delle attività e degli interscambi commerciali sulla Rete, e non solo in relazione al mercato dell’advertising.

Così ora che l’ecstasy di quel periodo da sogno (per loro) è giunto alla fine, si scopre che anche il modello perpetrato per oltre un decennio basato unicamente sulla dinamica click=ricavi non funziona più, complici forse anche le nuove tendenze dell’audio-visual. Il mostro creato dai colossi del web è fuori controllo.

I motivi per cui ciò è accaduto sono molteplici ma uno è senz’altro dominante: la qualità del contenuto, con quel modello, è venuta progressivamente sempre meno, erodendo il patto con il consumatore alla ricerca di notizie, informazioni, fatti, prodotti da acquistare.

E si è al contrario deciso di favorire, in base a un algoritmo assai poco trasparente e con criteri del tutto arbitrari, l’interesse per il mero profitto. Legittimo, persino scontato, ma una strategia con le gambe corte.

Perché se un utente tra i 14 e i 20 anni oggi deve decidere dove informarsi, o capire chi e cosa seguire, sceglie primariamente Tik Tok e non Google. Non solo perché è video ma perché il modello che ne è alla base risulta win-win per entrambi, il consumatore e chi quel contenuto lo crea. Questo non significa che il nuovo modello basato sulle interazioni e sull’influenza fine a se stessa possa costituire un punto di forza duraturo nel tempo; molto probabilmente non sarà così.

Di certo c’è solo che possiamo trarre un’unica grande lezione dalla condizione in cui le Big Tech oggi si trovano: più una multinazionale del tech cresce (specie se senza regole), maggiori sono le possibilità che a un certo punto, raggiunto il limite, le spezzino le gambe.

Non a caso negli Usa il dibattito sul futuro dei colossi del web è acceso e più che vivo da oltre un quinquennio. Come abbiamo più volte raccontato su questo giornale, negli Stati Uniti Lina Khan, prima donna a capo dell’Agenzia antitrust americana, ha intrapreso una dura battaglia contro i monopoli delle Big Tech.

In Europa non abbiamo la nostra Lina Khan, ma il cosiddetto mercato unico europeo fa sì che le leggi antitrust vengano applicate in modo ben più rigido. Per fare un esempio: da noi, nel Vecchio Continente, si contano oltre 50 grandi compagnie aeree e più di 80 operatori di telefonia mobile. Più offerta, maggiore competitività, meno monopoli. Il che significa anche prezzi e qualità di prodotti e servizi migliori in Europa rispetto all’America.

Il problema principale per l’Europa è che non ha il suo Google, il suo Meta, il suo Apple, il suo Amazon. È completamente dipendente dal dominio culturale e tecnologico degli Stati Uniti, oltre che dal monopolio digitale delle Big Tech. Il problema principale per gli Stati Uniti è invece l’opposto: trarre un insegnamento dall’Ue sulla regolamentazione industriale, anche in settori inesplorati come quello del web, può servire a limitare cadute negative come quella a cui stiamo assistendo in queste settimane. Promuovere una concorrenza leale nei mercati digitali porterà un vantaggio a consumatori, imprese e lavoratori. In un mondo in cui le grandi multinazionali hanno più potere di molti Stati, non può che essere così.

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