Il dolo di Grillo tra pregiudizi e luoghi comuni
Beppe Grillo è un padre, è un comico (o artista), è un personaggio pubblico, ma è soprattutto un politico che ieri ha dato sfogo alle sue preoccupazioni da genitore in un video decisamente discutibile.
Il video è discutibile per almeno due motivazioni. La prima afferisce alle parole che ha utilizzato per argomentare la presunta innocenza del figlio, indagato insieme ad altre tre persone dalla procura di Tempio Pausania (provincia di Sassari) per violenza sessuale di gruppo nei confronti di una coetanea conosciuta in vacanza: “La legge dice che gli stupratori vengono presi e vengono messi in galera e interrogati in galera o ai domiciliari. Sono lasciati liberi da due anni, perché? Perché non li avete arrestati subito? Ce li avrei portati io in galera a calci nel culo. Perché? Perché vi siete resi conto che non è vero niente che c’è stato lo stupro, non c’entrano niente. Perché una persona che viene stuprata la mattina, al pomeriggio va in kitesurf, e dopo 8 giorni fa una denuncia, vi è sembrato strano. È strano”, ha detto Grillo.
Cosa va chiarito su questo punto? Lo spiega bene il magistrato Francesco Menditto, intervenuto alla trasmissione radiofonica “Tutta la città ne parla”, su Radio 3. “In materia di violenza sulle donne c’è molta ignoranza: il tempo della denuncia è un tempo neutro, se la legge consente oggi 12 mesi per denunciare reati di violenza sessuale vuol dire che la donna ha a disposizione questo tempo. Perché ha questo tempo così lungo? Perché non è semplice denunciare questo tipo di reati che colpiscono nell’intimo, sapendo che spesso non si viene credute o che viene diffuso all’esterno ciò che si è patito. Per i magistrati il tempo è neutro”.
Sullo stesso punto è intervenuta anche Antonella Veltri, presidente di D.i.Re: “Con il suo video in difesa del figlio Ciro Beppe Grillo mostra in tutta la sua evidenza il funzionamento della vittimizzazione secondaria: le donne non sono credute, la violenza viene minimizzata, il comportamento della ragazza giudicato quasi fosse lei l’accusata. Non si è consenziente perché si denuncia ‘dopo’. E quanto tempo dopo una vittima di stupro perfetta dovrebbe denunciare la violenza?”, chiede provocatoriamente Veltri.
L’altro elemento riguarda il consenso. Grillo fa riferimento anche a una mancata reazione della ragazza: “C’è un video, passaggio per passaggio, e si vede che c’è la consensualità: un gruppo che ride, ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo, che sono in mutande e saltellano col pisello così perché sono quattro coglioni, non quattro stupratori”, afferma il garante M5s.
In primis va chiarito questo: “Gli studi dimostrano che nel 70% dei casi quando si subisce una violenza è normale avere un’accondiscendenza per evitare danni maggiori, estraniarsi. Ci sono studi che sgombrano il campo da questi luoghi comuni, bisogna far passare messaggi positivi o si rischiano passi indietro”, afferma Menditto. Ed è questo il nodo: Grillo alimenta luoghi comuni in un’arringa difensiva che va a discapito di tutti, persino di suo figlio quando si domanda il perché – se davvero fosse colpevole – non sia già in prigione.
Il nostro processo penale ha due principi fondamentali: da un lato la presunzione di innocenza, fino alla sentenza. In base a questo principio le misure cautelari personali possono essere adottate solo se sussistono gravi indizi di colpevolezza e vi siano delle precise esigenze cautelari (pericolo di inquinamento delle prove, fuga o pericolo di fuga dell’imputato, tutela della collettività) e, ove adottate, non possono avere una durata indeterminata. Ed è per questo che attualmente il figlio di Grillo è libero. Ma accanto a questo principio ne esiste un altro: la donna che denuncia è un testimone di per sé e in quanto tale è credibile fino a prova contraria. Chi denuncia ha l’obbligo di dire la verità.
E la ragazza in questione, dicono gli atti alla Procura, ha raccontato di essere stata obbligata ad assumere alcol. In quel caso ci troveremmo di fronte a uno stato di minorata difesa con l’ubriachezza indotta. Questa condizione non rende il reato meno grave. “L’80% delle persone afferma che una donna ubriaca al momento della violenza se l’è cercata: assolutamente no”, ribadisce Menditto. “Questi sono luoghi comuni. L’atto sessuale richiede un consenso, se non è un consenso consapevole, è un reato gravissimo. I singoli casi sono complicati, ma chi è dall’altra parte è in grado di percepire se c’è il consenso o meno”, prosegue Meditto.
“Nonostante tutto ciò che sappiamo sulle dinamiche della violenza, ogni comportamento di una donna che denuncia uno stupro viene guardato con sospetto. Non si è consenzienti quando si è obbligate ad avere rapporti sessuali contro la propria volontà o quando non si può prestare consenso perché ubriache”, fa notare ancora la presidente di D.i.Re.
Grillo è libero di difendere la presunta innocenza di suo figlio fino alla fine perché non è questa la sede dove si stabilisce quale sia la verità, ma è assolutamente imprescindibile non far cadere quelle parole nel vuoto. Non c’è una scadenza per denunciare le violenze. Non stabilisce Grillo qual è il tempo giusto in cui quelle (presunte) violenze sono ancora tali per essere denunciate. Non è Grillo a stabilire se la ragazza fosse consenziente. Sarà la magistratura a farlo. E se la ragazza avesse cambiato idea un secondo prima di iniziare? Sarebbe diverso? Se la ragazza era ubriaca come gli altri ragazzi era meno violenza?
Secondo l’Istat (rilevazione del 2019), persiste in Italia il pregiudizio che addebita alla donna la responsabilità della violenza sessuale subita. Addirittura il 39,3% della popolazione ritiene che una donna è in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole. Anche la percentuale di chi pensa che le donne possano provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire è elevata (23,9%).
Il 15,1%, inoltre, è dell’opinione che una donna che subisce violenza sessuale quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe sia almeno in parte corresponsabile. Non è più ammissibile alimentare questa mentalità, qualunque sia il grado di coinvolgimento di chi parla.
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