Il dittatore utile e i diritti umani sempre per ultimi (di Giulio Gambino)
C’era una volta ‘il dittatore necessario’.
Sia lodato Mario Draghi, premier tutto d’un pezzo, che due giorni fa ha detto le cose come stanno, che nessun altro prima di lui aveva osato pronunciare: Erdogan è un dittatore. Ma pur sempre necessario.
Uno con cui “dobbiamo dialogare, di cui abbiamo bisogno per collaborare, con cui bisogna trovare l’equilibrio giusto”. Non fa una piega. Che tradotto significa fare svolgere a lui il lavoro sporco che noi non vogliamo fare.
E infatti l’Europa ha già dato circa 6 miliardi di euro alla Turchia del dittatore necessario affinché si tenesse in casa propria i migranti che noi qui non vogliamo.
Qualcuno l’ha chiamata realpolitik. Un importante think tank italiano (Ispi) narra così l’impresa di Super Mario in politica estera questa settimana: “È la seconda volta che il premier spiazza tutti dettando la linea dell’Italia… Ora, con la dichiarazione shock di Draghi, anche l’Italia torna a dire la sua nell’intricato scacchiere mediterraneo. A suon di realpolitik à-la-Macron, se necessario”.
Realismo politico che ci riguarda solo quando si parla di immigrazione in Libia e Turchia, e mai quando invece si tratta di perseguire interessi ugualmente primari e strategici come la verità su Giulio Regeni e Mario Paciolla: per loro abbozziamo e basta, ci voltiamo dall’altra parte.
Fino a che punto è opportuno perseguire una realpolitik se poi nel farlo si rischia di rendere quantomeno ambigui i principi su cui si fonda la nostra democrazia? È giusto che un premier incaricato chiami dittatore un leader eletto dal popolo (pur nel pieno dei suoi soprusi in patria) quando poi quello stesso dittatore serve a pulirci la coscienza per non guardare in faccia la realtà del cimitero dei migranti che è il Mediterraneo?
Del resto qualche giorno prima di aver chiamato Erdogan dittatore (l’avesse fatto chiunque altro ne sarebbe scaturito uno studio approfondito sulle sue conoscenze geopolitiche) Draghi aveva anche ringraziato di persona i libici a Tripoli per i salvataggi dei migranti in mare, quelli che vengono ‘pescati’ dai guardiacoste locali e puntualmente riportati nei lager dove avvengono violenze e atrocità. Senza tra l’altro una parola per il lavoro della Marina Italiana e delle Ong.
Allora, forse, più di tutti ha davvero ragione l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti che questa settimana ha spiegato in un’intervista a TPI: “c’è una certa ipocrisia nel parlare di Libia oggi”. È così.
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