Il disastro afghano dimostra che aveva ragione Kissinger: l’ordine viene prima della pace
Il caos seguito al ritiro dall’Afghanistan deve indurre l’America a far tesoro delle lezioni della diplomazia degli anni Settanta
La vergognosa fine della guerra degli Stati Uniti in Afghanistan ha evidenziato in modo plateale le complessità e l’instabilità del Grande Medio Oriente. Gli americani forse potranno consolarsi con il fatto che, quanto meno, hanno potuto andarsene da quella regione problematica perché ormai gli Usa sono autosufficienti dal punto di vista energetico e quindi dipendono molto meno dal petrolio mediorientale. Washington ha imparato a sue spese a non cercare di ricostruire quella regione a immagine e somiglianza dell’America. Se mai in futuro i leader statunitensi fossero tentati di combattervi ancora, presumibilmente avranno scarso sostegno da parte dell’opinione pubblica.
Nondimeno, prendere le distanze dal Grande Medio Oriente è più facile a dirsi che a farsi. Se continuerà a portare avanti il suo programma nucleare fino ad arrivare a mettere a punto un’atomica, l’Iran potrebbe scatenare una corsa agli armamenti o far scattare un attacco preventivo da parte di Israele che trascinerebbe di nuovo gli Stati Uniti in un ennesimo conflitto in Medio Oriente. La regione resta importantissima a causa della sua centralità geostrategica, situata com’è al crocevia tra Europa e Asia. Gli alleati arabi di Israele e Washington dipendono dagli Usa per la loro sicurezza. Stati falliti come Siria e Yemen continuano a costituire un potenziale terreno fertile per i terroristi che vogliono colpire gli Stati Uniti e i loro alleati. Sebbene Washington non dipenda più dal libero flusso di petrolio dal Golfo, un’interruzione prolungata dello stesso potrebbe mandare in caduta libera l’economia globale. Piaccia o meno, gli Usa dovranno escogitare per forza una strategia post-Afghanistan che promuova l’ordine in Medio Oriente, anche se al momento questo tema non è certo in cima alle priorità dell’agenda americana.
Nel mettere a punto tale strategia, c’è un precedente di cui tener conto che funge da valido modello: lo si deve all’esperienza di Henry Kissinger, illustre stratega di Washington. Benché lo si ricordi poco, durante i quattro anni in cui fu a servizio come segretario di Stato dei presidenti americani Richard Nixon e Gerald Ford, Kissinger presiedette a un riuscito tentativo di dar vita a un ordine mediorientale stabile, durato trent’anni.
Ci riuscì mentre gli Usa rimpatriavano tutti i loro contingenti dal Vietnam e si ritiravano dal Sudest asiatico. In quel periodo la diplomazia dovette sostituire il ricorso alla forza, come oggi. Quell’evento coincise inoltre con il Watergate, lo scandalo che precipitò gli Stati Uniti in una profonda crisi politica ed estromise Nixon dalla presidenza, creando un potenziale vuoto nella leadership statunitense sullo scenario mondiale. Eppure, proprio durante quel momento tanto difficile per l’America, nel pieno della Guerra fredda, la diplomazia di Kissinger riuscì a mettere in secondo piano l’Unione sovietica e a gettare le premesse di un processo di pace guidato dall’America che pose efficacemente fine al conflitto tra Stati arabi e Israele, anche se non riuscì a porre rimedio al conflitto israelo-palestinese in modo definitivo.
Una delle lezioni più importanti da apprendere dall’epoca di Kissinger è che in quella regione una stabilità basata sull’equilibrio di potere non è sufficiente a mantenere saldamente l’ordine…
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