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Il PD smetta di pensare a Renzi e scelga la propria strada (di S. Mentana)

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E’ ormai un anno e mezzo che Matteo Renzi non fa più parte del PD, ma sembra che in tanti in casa dem non riescano a fare a meno di imputare a lui qualsiasi problema riguardi il loro partito. Nelle concitate ore successive alle dimissioni di Nicola Zingaretti, i commenti, le note, e i post sui social sembrano indicare i presunti renziani del PD e lo stesso Matteo Renzi come i responsabili delle dimissioni del segretario. Un’emotività comprensibile sotto il lato umano, ma inaccettabile dal punto di vista politico: tale propensione, infatti, non si presta a chi la politica la dovrebbe fare.

La separazione di Renzi dal PD sembrava destinata a essere un elemento di chiarezza, con la fine di una relazione che è sempre stata tormentata, anche ai tempi del tanto celebrato 40 per cento alle europee. Ma a quanto pare il PD senza Renzi non è riuscito a diventare adulto, e il senatore di Rignano, pur se ormai in un altro partito, rimane la figura cui imputare tutti i mali che affliggono i dem. Un fatto che ha del grottesco, se aggiungiamo che i sondaggi attribuiscono a Italia Viva oltre 15 punti percentuali in meno del PD.

Renzi è andato via, per il PD è storia, ed è ora che diventi adulto e si emancipi da lui. Se Renzi fa cadere Conte, è perché lui ha un altro partito con interessi che non sta scritto da nessuna parte debbano coincidere con quelli del PD. Se Zingaretti decide di dimettersi, la ragione non può essere cercata nel leader di un altro partito. Che può anche avere giocato un ruolo, ma non può essere ritenuto la causa della scelta. Il PD lo capisca, non resti prigioniero del suo passato.

Siamo di fronte alla prima volta nella storia del PD in cui un segretario rassegna le dimissioni senza un vero casus belli, e lascia spaesati vedere che si parli delle pressioni delle correnti. Un po’ tutti si sono alternati nella minoranza del PD, e un po’ tutti hanno cercato di mettere i bastoni tra le ruote a Veltroni prima, poi a Franceschini, Bersani, Epifani, Renzi, Martina…e ora, quasi come un rito di passaggio, anche a Zingaretti. Con un’opposizione interna che sembra oltretutto ben più blanda rispetto a quella riservata ad alcuni suoi predecessori.

Parlare della caduta di Zingaretti a causa di una corrente di presunti “renziani del PD” è singolare, dal momento che gli ex renziani, oggi riuniti nella corrente Base Riformista (una corrente che prima di tutto farebbe bene a rivedere il proprio acronimo…), hanno una posizione in questo momento decisamente minoritaria, seppur ben rappresentata in parlamento, ma non solo. Non è chiaro infatti in base a cosa si parli di “renziani nel PD”, dal momento che non aver seguito Renzi in Italia Viva dovrebbe essere sufficiente a non ritenerli più renziani. A quanto pare la chiarezza che sarebbe potuta emergere dalla scissione, non è emersa.

In attesa di capire come si faccia a riconoscere chi è renziano in un partito diverso da quello di Renzi, è bene che il PD superi questa sindrome. Quando le cose vanno male, si prenda le sue responsabilità, quando vanno bene, si prenda i meriti. Trovi la sua strada, la sua parola d’ordine, decida in questo momento di confusione ideologica come collocarsi e per fare cosa. Ma superi il complesso di Renzi, o non riuscirà più ad andare da nessuna parte.

Leggi anche: 1. Il sonno della politica genera tecnici 2. Il governo è diventato un’alleanza politica e Italia Viva non ne fa parte 3. Gli sbagli di Conte che ora rischia la poltrona 4. Nadia Urbinati a TPI: “Fuori i renziani dal PD”

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